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Il cammello nell'arte
Il cammello, di cui nome secondo alcuni deriva dal greco "chamaì", ovvero "a terra", perchè l'animale si abbassa per farsi caricare i pesi, era già conosciuto nell'antichità.Plinio ne ricorda le caratteristiche, sostenendo che i cammelli venivano utilizzati come bestie da soma, ma anche nelle battaglie.L'animale è stato poi paragonato da alcuni padri della Chiesa a Cristo, poichè come lui si inginocchia ed è in grado di portare pesanti fardelli. D'altro canto ha assunto anche significati negativi, quali la presunzione, a causa del suo aspetto considerato altezzoso.L'immagine dell'animale compare nella rappresentazione di Rebecca al pozzo: la ragazza viene ritratta mentre porge da bere a Eliezer ed ai suoi cammelli. Eliezer è il servo di Abramo, incaricato dal padrone di cercare una moglie per il figlio Isacco: la sposa sarà Rebecca.Il cammello appare anche nelle raffigurazioni delle storie di Mosè, quando il popolo israelita si accinge a lasciare l'Egitto. Nelle scene che rappresentano il viaggio e l'Adorazione dei Magi, i re venuti dall'Oriente sono spesso accompagnati da cammelli.Nell'iconografia profana il cammello appare come attributo dell'Asia nelle rappresentazioni dei quattro Continenti, e come attributo del fiume Indo.Tratto da "La Natura e i suoi simboli", Electahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/rebecca-al-pozzo/
L’icona russa
L’icona russa, ormai da duemila anni, costituisce l’immagine che la chiesa ha fornito al culto dei credenti come luogo della presenza di Dio. La venerazione del religioso non si rivolge però all’immagine rappresentata, bensì a qualcosa di più profondo ed astratto, in altre parole a colui che in essa è rappresentato. Questo è il motivo principale per cui le fattezze dei soggetti rappresentati non sono realistiche come quelle di un ritratto.Dice Sergij Bulgakov nel suo testo Ortodossia: "L’icona è una necessità essenziale per il culto… è infatti il luogo di presenza di grazia, come un’apparizione di Cristo. Si prega davanti all’icona di Cristo come davanti a Cristo stesso…L’esigenza di avere con sé e davanti a sé l’icona proviene dalla concretezza del sentimento religioso, che non si accontenta della sola contemplazione spirituale, ma cerca una vicinanza diretta sensibile, com’è naturale per l’uomo composto d’anima e di corpo…La venerazione delle sante icone si fonda quindi non solo sul contenuto stesso delle persone o degli avvenimenti in essi raffigurati, ma sulla fede in questa beata presenza, che è data dalla fede in forza del rito di benedizione dell’icona. Mediante la benedizione avviene nell’icona di Cristo un misterioso incontro fra colui che prega e Cristo stesso…”.Le icone più antiche risalgono probabilmente alla prima metà del IV secolo, quando il cristianesimo aveva già raggiunto una certa maturità. Secondo i Padri esse avrebbero potuto fornire un valido aiuto al consolidamento della fede.La tecnica usata per l’esecuzione dalle prime icone è quella dell’encausto -tecnica già nota agli egiziani- che consisteva nell’applicazione a caldo su supporto asciutto di colori impastati con cera.A partire dal IX secolo, dopo il periodo di repressione religiosa rappresentato dall’iconoclastia, prese avvio a Costantinopoli, città prescelta dagli imperatori come loro sede, un periodo di splendore per tutte le produzioni artistiche, da quelle architettoniche (furono edificate più di cento chiese) a quelle delle icone.Nel XII secolo l’icona subì l’influenza della produzione artistica costituita dai mosaici. Da essi in particolare fu ripreso il portamento delle figure, poste sempre frontalmente, e l’espressione semplice e severa dei volte.Un altro periodo, oltre a quello delle lotte iconoclastiche, in cui la produzione delle immagini sacre fu soggetta ad una battuta d’arresto, fu quello delle crociate (XIII secolo), durante le quali la città di Costantinopoli fu ferocemente saccheggiata. Come conseguenza di questi tragici eventi , i più importanti artisti che risiedevano nelle città furono costretti a fuggire e a trasferirsi in città limitrofe, come Macedonia, Candia, Cipro: nonostante ciò essi continuarono a lavorare mantenendosi sempre fedeli alla tradizione bizantina.Nel corso dei secoli successivi, l’icona torna ad essere una delle forme più rappresentative dell’arte, e le raffigurazioni diventano più delicate, raffinate e permeate da una maggiore umanità (XIV secolo), oltre che più complesse, con l’inserimento di paesaggi ed architetture che fungono da cornice per la figura umana (XV secolo).La definitiva crisi della fede ortodossa dell’impero bizantino si ebbe nel 1453 quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli. La produzione iconografica si spostò allora verso la Grecia, le isole del Mediterraneo e i Balcani, oltre che la Russia.Le icone le mettevano sulle porte delle città, in casa al posto d’onore, le portavano nei campi di battaglia ed erano il simbolo più importante delle processioni. In sostanza erano presenze benefiche delle vita umana: nascono icone che proteggono le partorienti, davano conforto agli ammalati, vegliavano i moribondi, seguivano il defunto nella tomba, in attesa del Giudizio.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/cristo-tra-i-santi/
Bolle di Sapone
Bolle di SaponeLa mostra mercato nazionale Assisi Antiquariato, aperta dal 25 aprile all’1 maggio, offre lo spunto per poter visitare il magnifico territorio umbro ed anche una curiosa mostra a Perugia.La vanità, intesa come elemento di instabilità, è l’insolita chiave di lettura di questa mostra che riunisce grandi artisti dal XVI al XX secolo.Bolle di Sapone. Forma dell’utopia tra vanitas, arte e scienza, a Perugia, fino al 9 giugno, raccoglie circa 60 opere legate al fil rouge di ciò che più di ogni altra cosa incanta, ma è effimero:le bolle di sapone, viste come realtà impalpabile e priva di sostanza.Sono spesso capolavori provenienti da prestigiose istituzioni, quali l’Hermitage, la National Gallery e gli Uffizi.Una carrellata di opere riassunte nell’Allegoria della vanità umana, di Karel Dujardin (1663) che presenta, con l’intento di condannarla, questa eccessiva presunzione di piacere come una fanciulla dai tratti vagamente allucinati, ispirata dalle bolle di sapone, metafora del nulla.Un atteggiamento altrettanto negativo è nei quadri di Jan Brueghel il Giovane, pittore fiammingo anche lui legato alla Controriforma fortemente critica verso gli eccessi, mentre per una valutazione più positiva della “vanitas” bisogna attendere gli inizi del Novecento, quando essa diventa impulso al commercio nella cartellonistica pubblicitaria (famoso il manifesto Achille Banfi di Gino Boccasile del 1937).La mostra è visitabile presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Corso Pietro Vannucci 19, Perugia fino al 9 giugno 2019 http://www.gallerianazionaledellumbria.it