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Benvenuti sul blog di OPO, dove troverete una raccolta completa di articoli e approfondimenti sull’antiquariato Italiano, ma anche le ultime novità su eventi, mostre e molto altro ancora.

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La musica e il liuto

Nei dipinti la Musica spesso è associata alle circostanze della vita umana, dalla più solenni alle più intime. L’iconografia spesso individua e circoscrive i luoghi della musica: chiese, teatri o sale da concerto, contesti campestri destinati a bucolici idilli o comuni strade cittadine, regno dei musicisti itineranti.Molti sono gli strumenti musicali che hanno dipinto i grandi maestri come, per esempio il liuto.Il liuto è uno strumento a corde, a forma di cassa bombata, la cui tavola è munita di un foro di risonanza centrale con una rosetta intagliata. Il repertorio destinato allo strumento si estende dagli inizi del XVI secolo-quando a Venezia furono stampate le prime raccolte di musiche- fino al 1770 circa, ed è associato a un particolare sistema di scrittura, l’intavolatura, con il quale si indicavano attraverso dei segni, le posizioni che le dita dovevano assumere sulle corde.Nel XVII secolo, aumentando il numero delle corde, al manico si aggiunse un cavigliere ausiliare, sul quale furono fissate delle corde supplementari che vibravano per simpatia.In quest’epoca, la musica per liuto, fu particolarmente coltivata in Francia, grazie a compositori quali Ennemond e Denis Gaultier, e in Germania, dove si protrasse fino al XVIII secolo. In Italia e in Spagna lo strumento cominciò invece a declinare, in seguito all’affermarsi della chitarra e del clavicembalo.

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La lotta di Giacobbe con l’angelo

La lotta di Giacobbe con l’angeloQuesto episodio dell’Antico Testamento, a partire dal quale Giacobbe assume il nome di Israele, viene variamente interpretato come allusione a combattimenti allegorici o alla lotta fra l’uomo e Dio.Nel viaggio di ritorno verso la terra di Canaan, il paese dei suoi antenati, Giacobbe, temendo la vendetta del fratello Esaù, invia dei messaggeri in avanscoperta. Essi tornano annunciando che il fratello è in marcia contro di lui con quattrocento uomini.Giacobbe, allora, decide di inviare ad Esaù i migliori capi del suo gregge per ingraziarselo e di andargli incontro, dopo di questi, lui stesso con la famiglia.Così i servi con ciascuna parte del gregge si dirigono verso Esaù, mentre Giacobbe trascorre la notte nell’accampamento. Dovendo attraversare il fiume Iabbok, nel cuore della notte, egli prende le mogli, le serve e gli undici figli e passa attraverso il guado sull’altra sponda. Poi Giacobbe rimane solo e gli va incontro un uomo che lotta con lui fino allo spuntare dell’aurora.  Quando l’uomo vede che non riesce a vincere Giacobbe gli sloga l’articolazione del femore e gli dice: “Lasciami andare che spunta l’aurora”. Giacobbe risponde: “Non ti lascerò partire se non mi avrai benedetto”. L’uomo allora riprende: “Non più Giacobbe sarà il tuo nome, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto”. Quindi lo benedice. Giacobbe chiama quel luogo Penuel, perché vi ha visto Dio in faccia, ma è rimasto vivo.L’angelo nel testo biblico viene chiamato semplicemente “uomo”, perché nasconde la sua identità, rimanendo avvolto nel segreto divino.Tratto da Episodi e personaggi dell’Antico Testamento, Electahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/lotta-di-giacobbe-con-langelo/

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Il cammello nell'arte

Il cammello, di cui nome secondo alcuni deriva dal greco "chamaì", ovvero "a terra", perchè l'animale si abbassa per farsi caricare i pesi, era già conosciuto nell'antichità.Plinio ne ricorda le caratteristiche, sostenendo che i cammelli venivano utilizzati come bestie da soma, ma anche nelle battaglie.L'animale è stato poi paragonato da alcuni padri della Chiesa a Cristo, poichè come lui si inginocchia ed è in grado di portare pesanti fardelli. D'altro canto ha assunto anche significati negativi, quali la presunzione, a causa del suo aspetto considerato altezzoso.L'immagine dell'animale compare nella rappresentazione di Rebecca al pozzo: la ragazza viene ritratta mentre porge da bere a Eliezer ed ai suoi cammelli. Eliezer è il servo di Abramo, incaricato dal padrone di cercare una moglie per il figlio Isacco: la sposa sarà Rebecca.Il cammello appare anche nelle raffigurazioni delle storie di Mosè, quando il popolo israelita si accinge a lasciare l'Egitto. Nelle scene che rappresentano il viaggio e l'Adorazione dei Magi, i re venuti dall'Oriente sono spesso accompagnati da cammelli.Nell'iconografia profana il cammello appare come attributo dell'Asia nelle rappresentazioni dei quattro Continenti, e come attributo del fiume Indo.Tratto da "La Natura e i suoi simboli", Electahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/rebecca-al-pozzo/

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Hubert Robert

Fu allievo dello scultore Michelangelo Slodtz. Nel novembre1754 venne in Italia al seguito del conte di Stainville, ambasciatore di Francia, poi duca di Choiseul e vi restò dieci anni. Il duca nel 1754-58 fu cliente del Panini e a Panini si legò in modo particolare Robert. Nel 1759 fu ammesso come pensionante nell’Accademia di Francia a Roma in Palazzo Mancini, dove si legò di amicizia con Fragonard e col Panini che vi insegnava. Natoire allora direttore dell’Accademia scrisse di lui che stava lavorando con ardore nel genere del Panini.Nel 1760 fu ospitato nella villa d’Este a Tivoli dall’Abate Saint-Non che reclutò lui e Fragonard, che era entrato nell’Accademia nel 1756, per fari collaborare alle illustrazioni del suo Voyage pittoresque. Li condusse così a Napoli, a Ercolano e a Paestum per far loro eseguire disegni da incidere poi come illustrazioni del suo libro.Nel 1762 Robert lasciava l’Accademia, ma restò a Roma ancora per tre anni. Il suo entusiasmo per le antichità lo portò a scalare il Colosseo.Nel 1765 tornò a Parigi dove nel 1766 fu ammesso nell’Academie Royale. Nel 1767 espose ai Salons, ormai famoso come il “Robert des Ruines”.Nel 1784 fu nominato conservatore dei dipinti del Musée Royal appena fondato, ma durante la rivoluzione fu arrestato e messo in carcare. Solo nel 1802 ottenne una pensione a vita e potè fare un ultimo viaggio in Italia col pittore Rey. Morì a Parigi nel 1808.I pittori di Vedute in Italia (1580-1830), Ugo Bozzi Editore srl Romahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/hubert-robert/

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L'imperatore Tiberio a Capri

L’imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto governò l’Impero Romano dal 14 al 37 D.C.Tiberio, abbandonò la caotica Roma e decise di comandare il mondo con lo sguardo fisso ai Faraglioni di Capri.Tiberio è stato diversamente denominato: un precursore dell’esistenzialismo di Sartre, un grande imperatore, un pervertito, come maliziosamente afferma Svetonio.Fu certamente uno dei più convinti amanti dell’isola, dove si fece costruire ben dodici ville.La più grandiosa è Villa Jovis, una magnifica dimora, alta sulla roccia, dalla quale il panorama che si gode è stupefacente. Come uno sceicco odierno, il buon Tiberio pensò bene di curare le sue malinconie con il clima ed il panorama di Capri, scendendo in portantina fino alla sua spiaggia privata dove si bagnava in un’acqua il cui azzurro doveva essere assolutoVilla Jovis è estesa su un'area di circa 7.000 metri quadri e domina l'intero promontorio di Monte Tiberio e la conca che scende verso Cesina. La vista che si può godere dal lato nord abbraccia buona parte del Golfo di Napoli, spaziando dall'Isola di Ischia fino a Punta Campanella, mentre il lato sud affaccia sul centro di Capri.Le sue caratteristiche architettoniche ricordano quelle delle classiche ville del periodo romano, ma anche quelle di una piccola fortezza. Al centro si trovavano le cisterne per la raccolta delle acque piovane, risorsa fondamentale su un'isola priva di fonti naturali, usate sia come acqua potabile che come riserva destinata alle terme che si articolavano nei classici ambienti del apodyterium, frigidarium, tepidarum e calidarium.L'alloggio dell'imperatore e dei sui fedeli si trovava a nord, ad ovest c'erano gli alloggi dei servi mentre ad est la sala del trono.A Villa Jovis c'era anche un faro che veniva utilizzato per le comunicazioni con la terraferma. Questo però crollo con un terremoto che distrusse buona parte della villa pochi giorni dopo la morte di Tiberio.I resti di Villa Jovis sono stati ignorati per anni e molti reperti sono andati persi. Altri si trovano al Museo Archeologico a Napoli e alcuni marmi sono stati utilizzati per la costruzione della chiesa di Santo Stefano. Solo nel 1932 gli scavi sono stati recuperati e valorizzati.Tiberio si trasferì definitivamente a Capri nel 27 D.C. a seguito di un forte eritema che gli colpì il viso. A Villa Jovis amava ospitare uomini di studio, letterati ed astrologi.Ma vi invitò anche cortigiane e cortigiani per il suo piacere personale, tanto che lo storico del tempo, Svetonio, racconta che nelle sue camere collezionasse dipinti erotici di fattura greca, non per amore dell’arte, bensì per trarne ispirazione durante le frequenti ed amate orge in cui adorava “impegnarsi”.Di tutti i tempi, Tiberio fu certamente il turista più affezionato e più celebre.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/grande-dipinto-con-bagnanti-3/

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Le meraviglie del lago di Garda

“Quanto vorrei che i miei amici ci fossero per un attimo accanto a me e potessero godere della vista che mi sta dinnanzi! Stasera avrei potuto raggiungere Verona, ma mi sarei lasciato sfuggire una meraviglia della natura, uno spettacolo incantevole, il lago di Garda: non ho voluto perderlo e sono stato magnificamente ricompensato.” Annotava così, nel 1786, Wolfang Goethe nel suo resoconto di un Grand Tour che l’autore compì nel Bel Paese.Oggi come allora, la visione del lago, come un presentimento di mediterraneità, attira ed ammalia milioni di visitatori della mitteleuropa.Come accadeva secoli fa al poeta tedesco, il moderno visitatore rimane incantato dalla meraviglia del più grande lago italiano. Appare quasi come un mare, con i suoi 370 metri quadrati di superficie, chiuso come un fiordo tra le alture bresciane e il monte Baldo a nord, più arioso e ampio a sud, abbracciato dalle colline moreniche fermate dalle glaciazioni, terre argillose ricche di sali minerali che nutrono distese di vigne ed olivi.La riviera bresciana è un susseguirsi di borghi e cittadine. A Limone c’è la ciclabile più bella d’Europa, Tignale guarda il lago dal suo altopiano verde, Gargnano mette in mostra le sue limonaie, e poi ancora più giù, fino a Gardone, celebre per la casa museo di Gabriele D’Annunzio e all’affascinante Salò, l’antica capitale della Magnifica Patria con i suoi palazzi che raccontano un passato di gloria e di splendore.Il basso lago ci accoglie con le atmosfere bucoliche della verde Valtenesi, dominata dal profilo della rocca di Manerba, che ci accompagna fino a Desenzano, moderna capitale del lago, e a quella di Sirmione che fu cantata dal poeta latino Catullo.

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Guidoccio Cozzarelli

La personalità storico e artistica di Guidoccio Cozzarelli non è mai stata caratterizzata a sufficienza: i documenti che fanno riferimento a lui sono poco chiari e le sue opere datate cadono tutte nel breve periodo di quattro anni compresi tra il 1482 e il 1486. Oggi è noto che Cozzarelli- identificato precedentemente come un “Cozzarello”, citato insieme a Sano di Pietro in un documento del 1450 relativo ai lavori nel Duomo di Siena- nacque in quell’anno. E’ presumibile che sia entrato nella bottega di Matteo di Giovanni attorno al 1470, ed in effetti le sue prime opere datate, una serie di miniature, realizzate fra il 1480 e il 1482, per i Corali del Duomo di Siena e una Madonna con Bambino in trono, fra San Gerolamo e il Beato Colombini del 1482, derivano direttamente dallo stile di Matteo di Giovanni alla fine degli anni Settanta del Quattrocento. Le opere dei due artisti sono state più di una volta confuse, e continuano ad esserlo, nonostante la pubblicazione di vari studi specialistici che avevano il solo scopo di distinguerli l’uno dall’altro. Cozzarelli è stato tradizionalmente snobbato come pessimo imitatore di Matteo di Giovanni, una tesi che appare smentita dalle sue due pale d’altare databili attorno al 1483 e al 1486, entrambe nella chiesa di San Bernardino a Sinalunga, e dal mutilato polittico di Rosia. Ne è risultato che molte delle ultime opere di Matteo, in cui si rilassano la linea nervosa del disegno e la brillante tavolozza delle prime tavole, sono state spesso attribuite a Cozzarelli, così come alcune delle opere migliori di Cozzarelli continuano ad essere assegnate a Matteo.Nell’ultimo decennio del Quattrocento lo stile di Cozzarelli virò bruscamente sotto l’influsso di un altro allievo più giovane di lui, appartenente alla bottega di Matteo di Giovanni, Pietro Orioli: tanto che ancora una volta i due pittori sono stati, e continuano ad essere, confusi.L’ultima opera datata di Cozzarelli, un San Sebastiano a figura intera del 1495 nella Pinacoteca di Siena, è chiaramente legata ad un gruppo di tavole devozionali con la Madonna e il Bambino, molte delle quali vengono ancora attribuite a Giacomo Pacchiarotto (cioè Pietro Orioli), ma sono in realtà opere di Cozzarelli.La recente identificazione e la nuova datazione delle opere di Orioli permettono di comprendere aspetti nuovi del complesso sviluppo di Cozzarelli, ancora tutto da esplorare.La Pittura Senese nel Rinascimento 1420-1500, Monte dei Paschi di Sienahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/giudoccio-di-giovanni-cozzarelli/

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L’icona russa

L’icona russa, ormai da duemila anni, costituisce l’immagine che la chiesa ha fornito al culto dei credenti come luogo della presenza di Dio.  La venerazione del religioso non si rivolge però all’immagine rappresentata, bensì a qualcosa di più profondo ed astratto, in altre parole a colui che in essa è rappresentato. Questo è il motivo principale per cui le fattezze dei soggetti rappresentati non sono realistiche come quelle di un ritratto.Dice Sergij Bulgakov nel suo testo Ortodossia: "L’icona è una necessità essenziale per il culto… è infatti il luogo di presenza di grazia, come un’apparizione di Cristo. Si prega davanti all’icona di Cristo come davanti a Cristo stesso…L’esigenza di avere con sé e davanti a sé l’icona proviene dalla concretezza del sentimento religioso, che non si accontenta della sola contemplazione spirituale, ma cerca una vicinanza diretta sensibile, com’è naturale per l’uomo composto d’anima e di corpo…La venerazione delle sante icone si fonda quindi non solo sul contenuto stesso delle persone o degli avvenimenti in essi raffigurati, ma sulla fede in questa beata presenza, che è data dalla fede in forza del rito di benedizione dell’icona. Mediante la benedizione avviene nell’icona di Cristo un misterioso incontro fra colui che prega e Cristo stesso…”.Le icone più antiche risalgono probabilmente alla prima metà del IV secolo, quando il cristianesimo aveva già raggiunto una certa maturità. Secondo i Padri esse avrebbero potuto fornire un valido aiuto al consolidamento della fede.La tecnica usata per l’esecuzione dalle prime icone è quella dell’encausto  -tecnica già nota agli egiziani- che consisteva nell’applicazione a caldo su supporto asciutto di colori impastati con cera.A partire dal IX secolo, dopo il periodo di repressione religiosa rappresentato dall’iconoclastia, prese avvio a Costantinopoli, città prescelta dagli imperatori come loro sede, un periodo di splendore per tutte le produzioni artistiche, da quelle architettoniche (furono edificate più di cento chiese) a quelle delle icone.Nel XII secolo l’icona subì l’influenza della produzione artistica costituita dai mosaici. Da essi in particolare fu ripreso il portamento delle figure, poste sempre frontalmente, e l’espressione semplice e severa dei volte.Un altro periodo, oltre a quello delle lotte iconoclastiche, in cui la produzione delle immagini sacre fu soggetta ad una battuta d’arresto, fu quello delle crociate (XIII secolo), durante le quali la città di Costantinopoli fu ferocemente saccheggiata. Come conseguenza di questi tragici eventi , i più importanti artisti che risiedevano nelle città furono costretti a fuggire e a trasferirsi in città limitrofe, come Macedonia, Candia, Cipro: nonostante ciò essi continuarono a lavorare mantenendosi sempre fedeli alla tradizione bizantina.Nel corso dei secoli successivi, l’icona torna ad essere una delle forme più rappresentative dell’arte, e le raffigurazioni diventano più delicate, raffinate e permeate da una maggiore umanità (XIV secolo), oltre che più complesse, con l’inserimento di paesaggi ed architetture che fungono da cornice per la figura umana (XV secolo).La definitiva crisi della fede ortodossa dell’impero bizantino si ebbe nel 1453 quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli. La produzione iconografica si spostò allora verso la Grecia, le isole del Mediterraneo e i Balcani, oltre che la Russia.Le icone le mettevano sulle porte delle città, in casa al posto d’onore, le portavano nei campi di battaglia ed erano il simbolo più importante delle processioni. In sostanza erano presenze benefiche delle vita umana: nascono icone che proteggono le partorienti, davano conforto agli ammalati, vegliavano i moribondi, seguivano il defunto nella tomba, in attesa del Giudizio.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/cristo-tra-i-santi/

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Francesco Curradi

Francesco Curradi, col Rosselli, il Passignano e Jacopo Empoli, è considerato uno dei protagonisti del rinnovamento della pittura fiorentina della prima metà del Seicento.La formazione del Curradi ha luogo presso la bottega fiorentina di Giovanni Battista Naldini, artista raffinato ed eclettico, superato dal discepolo, il quale aveva preso le mosse per un aggiornamento morfologico e concettuale dal Cigoli, dal Ciapelli e dal Passignano.Infatti, quando nel suo linguaggio il Curradi appare svincolato dai limiti sentimentali e religiosi della Riforma Cattolica, rivela (come nel caso in esame) sottigliezza psicologica ed estrema qualità pittorica.In tal senso va rilevato che il quadro in esame doveva rispondere a varie esigenze devozionali.Infatti San Sebastiano, santo militare, è oggetto di culto da parte dei soldati, ma soprattutto, delle compagini di arcieri e balestrieri.Per tanto, non a caso, ho richiamato la tipologia della piccola freccia, tinta di rosso, in uso presso i balestrieri, in quanto la “testa” del santo doveva far parte del corredo votivo di un alabardiere.Com’è noto il Curradi ebbe tra i suoi allievi Cesare Dandini (che assumerà un ruolo significativo all’interno della compagine matura dei pittori fiorentini del Seicento), il quale sarà sovente adibito a modello, per le sue raffinate fattezze, quali, a mio avviso, sono state conferite al santo in oggetto.Il “corpus” delle opere del Curradi è distribuito in molte chiese e raccolte del contado toscano e umbro.Le sue prerogative gli valgono, pertanto, un gran numero di commissioni, nonché, nel 1590, l’iscrizione all’Accademia di Disegno.Valdi confronti collegano la bella tela in esame con altre (o i relativi dettagli) già note, tra le quali menziono l’Annunciazione, Firenze, collezione privata; la Madonna con Bambino e Santi, Firenze, Chiesa di santa Trinità; l’Arcangelo Michele, già New York, collezione privata. Testo tratto dall’expertise del dipinto San Sebastiano, Francesco Curradi, olio su tela, 42x32 cm, del professor Maurizio Marini (Roma) https://oldpaintingsonline.com/prodotto/francesco-curradi/

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