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Benvenuti sul blog di OPO, dove troverete una raccolta completa di articoli e approfondimenti sull’antiquariato Italiano, ma anche le ultime novità su eventi, mostre e molto altro ancora.

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Endemione

Endemione, comunemente, è un giovane di straordinaria bellezza , amato da Diana. Giove gli concede il sonno eterno, assicurandogli così un'infinta giovinezza. Ogni notte la Luna gli fa visita e dalla loro unione nascono cinquanta figlie. In seguito l'immagine della Luna viena assimilata alla dea Diana.

La figura del giovane immerso nel sonno eterno ha ispirato molti artisti e poeti che in lui vedevano l'immagine della bellezza senza tempo. Il giovane è ritratto disteso e immerso nel sonno. Diana, al suo fianco, lo accinge in un abbraccio.

Eroi e Dei dell'Antichità, Lucia Impelluso, eidzioni Electa

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La collezione Giuseppe Alessandra

La collezione di opere d'arte antica e moderna dell'architetto Giuseppe Alessandra è nata più di sessant'anni fa e si è formata tra le lagune veneziane e Treviso, città dove abita il collezionista.Essa si è costituita poco a poco, giorno dopo giorno, come lui ama raccontare, a seguito dell'incontro a Venezia , nel lontano 1956, dello stesso Alessandra con lo storico d'arte Pietro Zampetti, e della loro successiva amichevole frequentazione. Entrambi facevano parte allora della Commissione per l'Elaborazione del Piano Particolareggiato del Centro storico di Venezia (1956-1959), che entrerà in vigore nel 1962.Un'amicizia lunga fra l'intellettuale anconetano, direttore delle Belle Arti del Comune di Venezia e organizzatore di prestigiose mostre d'arte (1953-1969), e l'architetto moglianese, funzionario prima e dirigente poi dell'Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto, che ha dedicato gran parte della vita al collezionismo.Frequentando in quegli stessi anni gli ambienti culturali veneziani, ed in particolare la Fondazione Giorgio Cini, Alessandra entrò quindi in contatto con i più grandi storici dell'arte (non solo veneti, ma anche toscani e lombardi): da Giuseppe Fiocco a Rodolfo Pallucchini, da Tarisio Pignatti a Francesco Valconover, Da Roberto Longhi a Enzo Carli, da Pietro Torriti a Giovanni Testori.Percorso tra le Opere della Collezione Alessandra dal XV al XX secolo, introduzione di Ettore Merkel.

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La musica e il liuto

Nei dipinti la Musica spesso è associata alle circostanze della vita umana, dalla più solenni alle più intime. L’iconografia spesso individua e circoscrive i luoghi della musica: chiese, teatri o sale da concerto, contesti campestri destinati a bucolici idilli o comuni strade cittadine, regno dei musicisti itineranti.Molti sono gli strumenti musicali che hanno dipinto i grandi maestri come, per esempio il liuto.Il liuto è uno strumento a corde, a forma di cassa bombata, la cui tavola è munita di un foro di risonanza centrale con una rosetta intagliata. Il repertorio destinato allo strumento si estende dagli inizi del XVI secolo-quando a Venezia furono stampate le prime raccolte di musiche- fino al 1770 circa, ed è associato a un particolare sistema di scrittura, l’intavolatura, con il quale si indicavano attraverso dei segni, le posizioni che le dita dovevano assumere sulle corde.Nel XVII secolo, aumentando il numero delle corde, al manico si aggiunse un cavigliere ausiliare, sul quale furono fissate delle corde supplementari che vibravano per simpatia.In quest’epoca, la musica per liuto, fu particolarmente coltivata in Francia, grazie a compositori quali Ennemond e Denis Gaultier, e in Germania, dove si protrasse fino al XVIII secolo. In Italia e in Spagna lo strumento cominciò invece a declinare, in seguito all’affermarsi della chitarra e del clavicembalo.

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Il cammello nell'arte

Il cammello, di cui nome secondo alcuni deriva dal greco "chamaì", ovvero "a terra", perchè l'animale si abbassa per farsi caricare i pesi, era già conosciuto nell'antichità.Plinio ne ricorda le caratteristiche, sostenendo che i cammelli venivano utilizzati come bestie da soma, ma anche nelle battaglie.L'animale è stato poi paragonato da alcuni padri della Chiesa a Cristo, poichè come lui si inginocchia ed è in grado di portare pesanti fardelli. D'altro canto ha assunto anche significati negativi, quali la presunzione, a causa del suo aspetto considerato altezzoso.L'immagine dell'animale compare nella rappresentazione di Rebecca al pozzo: la ragazza viene ritratta mentre porge da bere a Eliezer ed ai suoi cammelli. Eliezer è il servo di Abramo, incaricato dal padrone di cercare una moglie per il figlio Isacco: la sposa sarà Rebecca.Il cammello appare anche nelle raffigurazioni delle storie di Mosè, quando il popolo israelita si accinge a lasciare l'Egitto. Nelle scene che rappresentano il viaggio e l'Adorazione dei Magi, i re venuti dall'Oriente sono spesso accompagnati da cammelli.Nell'iconografia profana il cammello appare come attributo dell'Asia nelle rappresentazioni dei quattro Continenti, e come attributo del fiume Indo.Tratto da "La Natura e i suoi simboli", Electahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/rebecca-al-pozzo/

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Bacco Bambino

Bacco è il figlio nato dal frutto della relazione extra-coniugale tra Giove e Semele, la bellissima figlia del Re di Tebe.Semele, ingannata da Giunone gelosa di Giove, insiste con il suo amante per poterlo vedere com’era realmente e Giove, mostrandosi, la folgora. Il figlio, che teneva in grembo, si salva e Giove per poter portare a compimento la sua formazione, se lo cuce all’interno della coscia.Quando il bimbo nasce, Giove lo affida a Mercurio che lo consegna alle ninfe del monte Nisa affinché lo allevino.Cresciuto nella solitudine dei boschi, Bacco pianta le viti, inebriandosi dell’  “umòr che da essa cola”.Bacco è il dio della vite e del vino.La figura di Bacco è anche strettamente legata alla nascita del teatro. Il teatro, infatti, sarebbe nato come celebrazione religiosa in onore del dio, amante della danza e della musica.Bacco è anche considerato la divinità di culti misterici, cioè di culti che prevedevano l'iniziazione dei seguaci e la segretezza dei riti. Agli iniziati è promessa la beatitudine eterna nell'aldilà. Con questi riti si confondono ben presto quelli orfici, dei quali Bacco è pure la divinità principale.A Roma la degenerazione dei riti in pratiche scandalose porta il Senato nel 186 a.C. a vietare le associazioni che hanno per oggetto il culto bacchico.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/bacco-bambino/

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Lo smalto viennese

Lo smalto è quella tecnica artistica che accoppia paste vitree a superfici metalliche, impiegate come supporto, attraverso un processo di fusione al forno. Sorta dalla necessità di aggiungere «colore» ai metalli preziosi, è una tecnica quindi che si colloca tra quella del vetro e l'oreficeria.La decorazione a smalto è nota sin dall’antichità, già all’epoca degli Assiri e degli Egizi.In Europa i luoghi in cui venne più utilizzato in epoca medievale era l’Italia, la Francia settentrionale e la Renania, protraendosi fino al Rinascimento con produzioni eccezionali come la famosa saliera d’oro di Francesco I di Benvenuto Cellini conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.Nel secolo XIX sono stati fatti tentativi specialmente in Francia e a Vienna di rimettere in onore lo smalto soprattutto ricollegandosi alla tradizione medievale.Vienna, in particolar modo, nella seconda metà del XIX secolo, diventa un centro importante per la lavorazione dell’argento e del bronzo decorati con lo smalto per dare colore agli oggetti.A Vienna lavorano due famosi maestri, che aiutano a diffondere questo gusto neorinascimentale e neoclassico nella città: Hermann Ratzersdorfer e Hermann Bohm.Ecco che questa moda avvolge tutta la città e i monumenti architettonici. Anche la vita domestica viene contaminata da questo gusto estetico: vengono realizzate meravigliose stoviglie e accessori di lusso, centrotavola, monetieri, calici, vasi, tabacchiere, orologi da tavolo e da camino. Le forme vengono ispirate dai modelli classici e rinascimentali.

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Hubert Robert

Fu allievo dello scultore Michelangelo Slodtz. Nel novembre1754 venne in Italia al seguito del conte di Stainville, ambasciatore di Francia, poi duca di Choiseul e vi restò dieci anni. Il duca nel 1754-58 fu cliente del Panini e a Panini si legò in modo particolare Robert. Nel 1759 fu ammesso come pensionante nell’Accademia di Francia a Roma in Palazzo Mancini, dove si legò di amicizia con Fragonard e col Panini che vi insegnava. Natoire allora direttore dell’Accademia scrisse di lui che stava lavorando con ardore nel genere del Panini.Nel 1760 fu ospitato nella villa d’Este a Tivoli dall’Abate Saint-Non che reclutò lui e Fragonard, che era entrato nell’Accademia nel 1756, per fari collaborare alle illustrazioni del suo Voyage pittoresque. Li condusse così a Napoli, a Ercolano e a Paestum per far loro eseguire disegni da incidere poi come illustrazioni del suo libro.Nel 1762 Robert lasciava l’Accademia, ma restò a Roma ancora per tre anni. Il suo entusiasmo per le antichità lo portò a scalare il Colosseo.Nel 1765 tornò a Parigi dove nel 1766 fu ammesso nell’Academie Royale. Nel 1767 espose ai Salons, ormai famoso come il “Robert des Ruines”.Nel 1784 fu nominato conservatore dei dipinti del Musée Royal appena fondato, ma durante la rivoluzione fu arrestato e messo in carcare. Solo nel 1802 ottenne una pensione a vita e potè fare un ultimo viaggio in Italia col pittore Rey. Morì a Parigi nel 1808.I pittori di Vedute in Italia (1580-1830), Ugo Bozzi Editore srl Romahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/hubert-robert/

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L'imperatore Tiberio a Capri

L’imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto governò l’Impero Romano dal 14 al 37 D.C.Tiberio, abbandonò la caotica Roma e decise di comandare il mondo con lo sguardo fisso ai Faraglioni di Capri.Tiberio è stato diversamente denominato: un precursore dell’esistenzialismo di Sartre, un grande imperatore, un pervertito, come maliziosamente afferma Svetonio.Fu certamente uno dei più convinti amanti dell’isola, dove si fece costruire ben dodici ville.La più grandiosa è Villa Jovis, una magnifica dimora, alta sulla roccia, dalla quale il panorama che si gode è stupefacente. Come uno sceicco odierno, il buon Tiberio pensò bene di curare le sue malinconie con il clima ed il panorama di Capri, scendendo in portantina fino alla sua spiaggia privata dove si bagnava in un’acqua il cui azzurro doveva essere assolutoVilla Jovis è estesa su un'area di circa 7.000 metri quadri e domina l'intero promontorio di Monte Tiberio e la conca che scende verso Cesina. La vista che si può godere dal lato nord abbraccia buona parte del Golfo di Napoli, spaziando dall'Isola di Ischia fino a Punta Campanella, mentre il lato sud affaccia sul centro di Capri.Le sue caratteristiche architettoniche ricordano quelle delle classiche ville del periodo romano, ma anche quelle di una piccola fortezza. Al centro si trovavano le cisterne per la raccolta delle acque piovane, risorsa fondamentale su un'isola priva di fonti naturali, usate sia come acqua potabile che come riserva destinata alle terme che si articolavano nei classici ambienti del apodyterium, frigidarium, tepidarum e calidarium.L'alloggio dell'imperatore e dei sui fedeli si trovava a nord, ad ovest c'erano gli alloggi dei servi mentre ad est la sala del trono.A Villa Jovis c'era anche un faro che veniva utilizzato per le comunicazioni con la terraferma. Questo però crollo con un terremoto che distrusse buona parte della villa pochi giorni dopo la morte di Tiberio.I resti di Villa Jovis sono stati ignorati per anni e molti reperti sono andati persi. Altri si trovano al Museo Archeologico a Napoli e alcuni marmi sono stati utilizzati per la costruzione della chiesa di Santo Stefano. Solo nel 1932 gli scavi sono stati recuperati e valorizzati.Tiberio si trasferì definitivamente a Capri nel 27 D.C. a seguito di un forte eritema che gli colpì il viso. A Villa Jovis amava ospitare uomini di studio, letterati ed astrologi.Ma vi invitò anche cortigiane e cortigiani per il suo piacere personale, tanto che lo storico del tempo, Svetonio, racconta che nelle sue camere collezionasse dipinti erotici di fattura greca, non per amore dell’arte, bensì per trarne ispirazione durante le frequenti ed amate orge in cui adorava “impegnarsi”.Di tutti i tempi, Tiberio fu certamente il turista più affezionato e più celebre.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/grande-dipinto-con-bagnanti-3/

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Le meraviglie del lago di Garda

“Quanto vorrei che i miei amici ci fossero per un attimo accanto a me e potessero godere della vista che mi sta dinnanzi! Stasera avrei potuto raggiungere Verona, ma mi sarei lasciato sfuggire una meraviglia della natura, uno spettacolo incantevole, il lago di Garda: non ho voluto perderlo e sono stato magnificamente ricompensato.” Annotava così, nel 1786, Wolfang Goethe nel suo resoconto di un Grand Tour che l’autore compì nel Bel Paese.Oggi come allora, la visione del lago, come un presentimento di mediterraneità, attira ed ammalia milioni di visitatori della mitteleuropa.Come accadeva secoli fa al poeta tedesco, il moderno visitatore rimane incantato dalla meraviglia del più grande lago italiano. Appare quasi come un mare, con i suoi 370 metri quadrati di superficie, chiuso come un fiordo tra le alture bresciane e il monte Baldo a nord, più arioso e ampio a sud, abbracciato dalle colline moreniche fermate dalle glaciazioni, terre argillose ricche di sali minerali che nutrono distese di vigne ed olivi.La riviera bresciana è un susseguirsi di borghi e cittadine. A Limone c’è la ciclabile più bella d’Europa, Tignale guarda il lago dal suo altopiano verde, Gargnano mette in mostra le sue limonaie, e poi ancora più giù, fino a Gardone, celebre per la casa museo di Gabriele D’Annunzio e all’affascinante Salò, l’antica capitale della Magnifica Patria con i suoi palazzi che raccontano un passato di gloria e di splendore.Il basso lago ci accoglie con le atmosfere bucoliche della verde Valtenesi, dominata dal profilo della rocca di Manerba, che ci accompagna fino a Desenzano, moderna capitale del lago, e a quella di Sirmione che fu cantata dal poeta latino Catullo.

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Guidoccio Cozzarelli

La personalità storico e artistica di Guidoccio Cozzarelli non è mai stata caratterizzata a sufficienza: i documenti che fanno riferimento a lui sono poco chiari e le sue opere datate cadono tutte nel breve periodo di quattro anni compresi tra il 1482 e il 1486. Oggi è noto che Cozzarelli- identificato precedentemente come un “Cozzarello”, citato insieme a Sano di Pietro in un documento del 1450 relativo ai lavori nel Duomo di Siena- nacque in quell’anno. E’ presumibile che sia entrato nella bottega di Matteo di Giovanni attorno al 1470, ed in effetti le sue prime opere datate, una serie di miniature, realizzate fra il 1480 e il 1482, per i Corali del Duomo di Siena e una Madonna con Bambino in trono, fra San Gerolamo e il Beato Colombini del 1482, derivano direttamente dallo stile di Matteo di Giovanni alla fine degli anni Settanta del Quattrocento. Le opere dei due artisti sono state più di una volta confuse, e continuano ad esserlo, nonostante la pubblicazione di vari studi specialistici che avevano il solo scopo di distinguerli l’uno dall’altro. Cozzarelli è stato tradizionalmente snobbato come pessimo imitatore di Matteo di Giovanni, una tesi che appare smentita dalle sue due pale d’altare databili attorno al 1483 e al 1486, entrambe nella chiesa di San Bernardino a Sinalunga, e dal mutilato polittico di Rosia. Ne è risultato che molte delle ultime opere di Matteo, in cui si rilassano la linea nervosa del disegno e la brillante tavolozza delle prime tavole, sono state spesso attribuite a Cozzarelli, così come alcune delle opere migliori di Cozzarelli continuano ad essere assegnate a Matteo.Nell’ultimo decennio del Quattrocento lo stile di Cozzarelli virò bruscamente sotto l’influsso di un altro allievo più giovane di lui, appartenente alla bottega di Matteo di Giovanni, Pietro Orioli: tanto che ancora una volta i due pittori sono stati, e continuano ad essere, confusi.L’ultima opera datata di Cozzarelli, un San Sebastiano a figura intera del 1495 nella Pinacoteca di Siena, è chiaramente legata ad un gruppo di tavole devozionali con la Madonna e il Bambino, molte delle quali vengono ancora attribuite a Giacomo Pacchiarotto (cioè Pietro Orioli), ma sono in realtà opere di Cozzarelli.La recente identificazione e la nuova datazione delle opere di Orioli permettono di comprendere aspetti nuovi del complesso sviluppo di Cozzarelli, ancora tutto da esplorare.La Pittura Senese nel Rinascimento 1420-1500, Monte dei Paschi di Sienahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/giudoccio-di-giovanni-cozzarelli/

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Appuntamenti d'arte sul lago di Garda

Caravaggio Experience al Castello di Desenzano fino al 13 ottobre 2019: un viaggio esplorativo alla scoperta delle tecniche, dei temi e dei segreti di uno dei più grandi innovatori della storia dell’arte.Grazie alla regia di Stefano Fomasi, fondatore di The Fake Factory, una spettacolare videoinstallazione immergerà il pubblico in cinquantotto opere e nella vita di Michelangelo Merisi attraverso un’iniziativa totalizzante da un punto di vista estetico, ma anche emotivo e sensoriale. I visitatori, per la durata di cinquanta minuti, prenderanno parte a uno spettacolo fatto di proiezioni, musiche e fragranze olfattive, in un’esperienza cangiante e interattiva dell’opera d’arte.La videoinstallazione è divisa in sezioni e ciascuna di esse indagherà un tema “caravaggesco”: dalla ricostruzione degli studi sulla luce, all’analisi dei processi compositivi, passando per la rappresentazione della natura e della violenza fino a un tour virtuale nei luoghi della vita del pittore.Dopo il successo di pubblico registrato a Roma, Torino, Rimini e Città del Messico, Caravaggio Experience viene presentato anche al Castello di Desenzano grazie al contributo del Gruppo MilanoCard e di Medialart che con questa nuova iniziativa confermano la propria volontà di offrire al pubblico una proposta culturale di alto profilo e allo stesso tempo un’esperienza inedita che accompagna anche i meno esperti alla conoscenza del grande maestro.https://www.caravaggioadesenzano.it/ Contemplazioni: i visionari al Mu.Sa di Salò, museo di Salò in via Brunati, a cura di Vittorio Sgarbi, fino all’8 dicembre: la mostra è un susseguirsi di camere delle meraviglie articolato in cinque sezioni, ognuna dedicata a un artista contemporaneo. Il MuSa diventa così il luogo mistico in cui poter incontrare le alchimie di Agostino Arrivabene, il mondo fantastico e indecifrabile di Luigi Serafini, le presenze di Domenico Gnoli, l’aldilà di Cesare Inzerillo e la prorompente ricerca di Gaetano Pesce. Cinque contemporanei (l’unico non vivente è Gnoli) per una mostra intensa e suggestiva nelle sue molteplici sollecitazioni estetiche.https://www.museodisalo.it/mostre/contemplazioni

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Fukurokuju, Dio della Saggezza

Fukurokuju è una delle sette Divinità della Fortuna, adorate in Giappone e non solo.Il significato letterale del suo nome è Felicità (福, fuku), Ricchezza (禄, roku), Longevità (寿, ju).In realtà, Fukurokuju rappresenta il Dio della Saggezza. Viene raffigurato a figura intera con un busto corto, gambe ancora più corte e una testa molto allungata (anche più lunga delle sue gambe), nel quale si dice sia contenuta la saggezza accumulata nel corso della sua lunga vita.Si tratta di un filosofo cinese che era in grado di "vivere sulle nebbie del cielo e sulle rugiade della terra".Ogni tanto è raffigurato in compagnia di una gru o da un altro animale associato alla Longevità, come il cervo o la tartaruga.Poteva profetizzare eventi e poteva compiere molti miracoli per il miglioramento dell'umanità.Il mito di Fukurokuju ha probabilmente avuto origine da un'antica fiaba cinese che narrava di un saggio eremita taoista cinese noto per aver compiuto miracoli nel periodo della dinastia Song (960-1127). In Cina, questo eremita (noto anche come Jurōjin) è stato pensato per incorpare i poteri celesti della stella polare del Sud.  Fukurokuju  ha preso il posto di Kichijōten (dea della Fortuna, della Bellezza e del Merito), perché all’inizio non era parte  delle sette Dinità della Fortuna.Le altre divinità sono:Hotei, dio della Felicità; Jorojin, dio della Longevità; Daikoku, dio della Salute; Benzaiten, dea della Bellezza; Bishamonten, dio della Dignità, Ebisu, dio dell’Abbondanza.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/buddha-in-avorio/

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La Comunione di San Girolamo (aneddoto)

Il dipinto La Comunione di San Girolamo venne realizzato da Agostino Carracci per la chiesa bolognese di San Girolamo Della Certosa tra il 1592 e il 1597.Il tema, assai raro, è quello di San Girolamo che, ormai novantenne, giunto in punto di morte volle prendere l'ultima comunione circondato dai suoi discepoliDivenne ben presto opera paradigmatica della riforma carraccesca sul versante del côté classicista. Portata in Francia al tempo delle soppressioni napoleoniche, attualmente si trova presso la Pinacoteca di Bologna. Al suo posto sull’altare di S. Girolamo nella chiesa di San Girolamo Della Certosa a Bologna fu collocata una copia realizzata nel 1823 da Clemente Alberi.La tela è stata oggetto di una lunga ed encomiastica descrizione nelle Vite de' pittori, scultori et architetti moderni (1672) di Giovan Pietro Bellori, che definì il dipinto il capolavoro di Agostino Carracci.Alcuni decenni dopo la sua realizzazione, il dipinto fu al centro di un'accesa disputa tra il Domenico Zampieri detto il Domenichino e Giovanni Gaspare Lanfranco, pittori entrambi usciti dalla scuola carraccesca.A Domenichino venne assegnata la realizzazione di una tela per la chiesa romana di San Girolamo alla Carità, dedicata allo stesso soggetto del capolavoro di Agostino. Il dipinto, commissionato dalla Congregazione di S. Girolamo della Carità per l'omonima chiesa in via Giulia a Roma, fu eseguito dal Domenichino tra il 1611 e il 1614 ed ha con la tela carraccesca indubbie ed ampie similitudini.La Comunione di San Girolamo costituisce il primo riconoscimento di rilievo ottenuto a Roma da Domenichino e suscitò, tranne rare eccezioni, i consensi entusiastici dei contemporanei, che lo considerarono tra i capolavori dell'arte italiana.Qualche anno dopo la realizzazione del quadro, quando il Domenichino e il Lanfranco si trovarono in competizione per importanti commissioni romane, l'ultimo accusò apertamente il primo di plagio, proprio per aver copiato la Comunione di san Girolamo di Agostino Carracci.Per provare le sue accuse, il Lanfranco fece incidere il dipinto di Agostino dal suo allievo François Perrier in modo tale che anche a Roma (dove evidentemente l'opera non era nota essendo la stessa a Bologna) tutti potessero rendersi conto del plagio del Domenichino.L'episodio non danneggiò particolarmente la fama del pittore bolognese, come comprova il giudizio del Bellori che “assolse” il Domenichino dall'accusa di essere un plagiatore e giudicò la sua Comunione come una «lodevole imitatione» di quella di Agostino Carracci.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/la-comunione-di-san-girolamo/

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Il micromosaico

“Un uomo che non sia stato in Italia, sarà sempre cosciente della propria inferiorità, per non avere visto quello che un uomo dovrebbe vedere”. Samuel JohnsonIl micromosaico consacra il suo successo internazionale durante il Grand Tour, per soddisfare le raffinate esigenze di turisti stranieri in visita nella magnifica Italia.Il Grand Tour: questo periodo storico, artistico e letterario che inizia nel XVIII secolo e invade il XIX secolo; la moda del classicismo e le nuove scoperte archeologiche non possono che attirare intellettuali e curiosi nella terra della romanità.Per venire incontro alle esigenze di questo particolare pubblico, desideroso di portare in patria un ricordo dei luoghi visitati, si sviluppa a Roma, tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, la tecnica del micromosaico.A Roma,  nel 1727, viene istituito lo Studio Vaticano del Mosaico con un gran numero di mosaicisti alle dipendenze della Reverenda Fabbrica di San Pietro.Proprio dai  mosaicisti dei laboratori dello Studio Vaticano vennero realizzati degli splendidi gioielli in micromosaico, orecchini, spille, bracciali.Nel micromosaico romano, le piccole tessere di vetro vengono accostate e fissate assieme con del mastice su una superficie di vetro o pietra per riprodurre un disegno tracciato sulla base precedentemente. I soggetti tipici di questo tipo di mosaico sono le rovine romane, scene mitologiche e religiose e riproduzioni di antichi mosaici, come quelli Capitolini.La  produzione in micromosaico oggi nota costituisce un patrimonio di inestimabile valore che ha tutte le caratteristiche per essere valorizzato nel contesto dell'insegnamento superiore, come già accade per altre espressioni delle arti decorative.

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Annibale Carracci

Annibale Carracci fu giudicato da molti contemporanei e dalla maggioranza dei critici e filologi successivi come uno dei più grandi innovatori della pittura.Visse nella stessa epoca di Caravaggio, anch’egli paradossalmente visto in una chiave analoga, ma più nella veste di evasore che di innovatore. In questa singolare differenza risiede parte dello straordinario interesse che la figura di Annibale Carracci ha sempre destato nella storiografia. Malgrado la sua fama enorme, è notevole osservare come molti siano i punti controversi relativi alla sua arte.Il primo luogo non è chiara la cronologia esatta di alcune opere cruciali, poco e mal documentate. In secondo luogo permane incerta l’interpretazione di capolavori decisivi, primi fra tutti gli affreschi della Galleria di palazzo Farnese a Roma, di cui, al di là della classica lettura che ne diedero gli storici seicenteschi, non sono ancora ben chiari il significato profondo e i tempi di lavorazione.Malgrado questo è evidente che Annibale Carracci ebbe una posizione di assoluto spicco nella storia della pittura tra Cinquecento e Seicento, e anche il suo rapporto con Caravaggio resta uno degli aspetti più interessanti del panorama artistico dell’epoca.Annibale Carracci fu visto dagli storici tra Seicento e Settecento come il nuovo Raffaello.  Tra gli innumerevoli esempi, basti ricordare una frase emblematica dell’importante erudito perugino Luigi Pellegrino Scaramuccia che, nel noto trattato Le Finezze de’ pennelli italiani (edito nel  1674) scrive, descrivendo una ricognizione di esperti nelle vie di Roma: “S’abbatterono alla fine nelle famosa, non meno che ammirabile, Galleria dipinta a fresco, quale per sempre a onta dell’Invidia sarà eternamente apprezzata per un singolar portento del pennello del grand’Annibale Carracci, poiché il disegno in essa in compagnia d’un perfetto clorito, eccellentemente trionfa, e gli artefici, le Maestrie, e le vaghe Inventioni vie sempre per quelle pareti, per meraviglia d’ogni ingegno, ad ogn’hora risplendono”. E questo sarebbe accaduto “ doppo il Sole del nostro Raffaello”.Nella lettura di Scaramuccia sono già consolidati alcuni concetti che accompagneranno sempre, fin nei nostri tempi, la lettura di Annibale Carracci, tra cui evidentissima l’idea della conciliazione del colorito con il disegno, attribuendosi il dominio del colore alla scuola padana culminata nel Correggio e il disegno nella scuola romana culminata appunto in Raffaello.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/madonna-con-bambino-ovale/Testo tratto da Annibale Carracci, Claudio Strinati, Art Dossier

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L’icona russa

L’icona russa, ormai da duemila anni, costituisce l’immagine che la chiesa ha fornito al culto dei credenti come luogo della presenza di Dio.  La venerazione del religioso non si rivolge però all’immagine rappresentata, bensì a qualcosa di più profondo ed astratto, in altre parole a colui che in essa è rappresentato. Questo è il motivo principale per cui le fattezze dei soggetti rappresentati non sono realistiche come quelle di un ritratto.Dice Sergij Bulgakov nel suo testo Ortodossia: "L’icona è una necessità essenziale per il culto… è infatti il luogo di presenza di grazia, come un’apparizione di Cristo. Si prega davanti all’icona di Cristo come davanti a Cristo stesso…L’esigenza di avere con sé e davanti a sé l’icona proviene dalla concretezza del sentimento religioso, che non si accontenta della sola contemplazione spirituale, ma cerca una vicinanza diretta sensibile, com’è naturale per l’uomo composto d’anima e di corpo…La venerazione delle sante icone si fonda quindi non solo sul contenuto stesso delle persone o degli avvenimenti in essi raffigurati, ma sulla fede in questa beata presenza, che è data dalla fede in forza del rito di benedizione dell’icona. Mediante la benedizione avviene nell’icona di Cristo un misterioso incontro fra colui che prega e Cristo stesso…”.Le icone più antiche risalgono probabilmente alla prima metà del IV secolo, quando il cristianesimo aveva già raggiunto una certa maturità. Secondo i Padri esse avrebbero potuto fornire un valido aiuto al consolidamento della fede.La tecnica usata per l’esecuzione dalle prime icone è quella dell’encausto  -tecnica già nota agli egiziani- che consisteva nell’applicazione a caldo su supporto asciutto di colori impastati con cera.A partire dal IX secolo, dopo il periodo di repressione religiosa rappresentato dall’iconoclastia, prese avvio a Costantinopoli, città prescelta dagli imperatori come loro sede, un periodo di splendore per tutte le produzioni artistiche, da quelle architettoniche (furono edificate più di cento chiese) a quelle delle icone.Nel XII secolo l’icona subì l’influenza della produzione artistica costituita dai mosaici. Da essi in particolare fu ripreso il portamento delle figure, poste sempre frontalmente, e l’espressione semplice e severa dei volte.Un altro periodo, oltre a quello delle lotte iconoclastiche, in cui la produzione delle immagini sacre fu soggetta ad una battuta d’arresto, fu quello delle crociate (XIII secolo), durante le quali la città di Costantinopoli fu ferocemente saccheggiata. Come conseguenza di questi tragici eventi , i più importanti artisti che risiedevano nelle città furono costretti a fuggire e a trasferirsi in città limitrofe, come Macedonia, Candia, Cipro: nonostante ciò essi continuarono a lavorare mantenendosi sempre fedeli alla tradizione bizantina.Nel corso dei secoli successivi, l’icona torna ad essere una delle forme più rappresentative dell’arte, e le raffigurazioni diventano più delicate, raffinate e permeate da una maggiore umanità (XIV secolo), oltre che più complesse, con l’inserimento di paesaggi ed architetture che fungono da cornice per la figura umana (XV secolo).La definitiva crisi della fede ortodossa dell’impero bizantino si ebbe nel 1453 quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli. La produzione iconografica si spostò allora verso la Grecia, le isole del Mediterraneo e i Balcani, oltre che la Russia.Le icone le mettevano sulle porte delle città, in casa al posto d’onore, le portavano nei campi di battaglia ed erano il simbolo più importante delle processioni. In sostanza erano presenze benefiche delle vita umana: nascono icone che proteggono le partorienti, davano conforto agli ammalati, vegliavano i moribondi, seguivano il defunto nella tomba, in attesa del Giudizio.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/cristo-tra-i-santi/

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L’arte del vetro di Murano

L’arte del vetro di MuranoIl vetro veneziano  ha avuto origine più di mille anni fa ed ha sempre riscontrato l’interesse di un pubblico vastissimo. E’stato infatti oggetto di esportazioni verso l’Occidente e l’Oriente fin dagli antichi ed è stato molto privilegiato dall’interesse di studiosi e collezionisti di tutto il mondo in quanto è il più antico esempio di vetro artistico in Europa.L’interesse per i vetri antichi, negli ultimi anni, si è completato con una ricerca sempre più attenta di vetri del Novecento, secolo molto creativo e dinamico a Venezia e, soprattutto, a Murano.Importanti vetrerie hanno contraddistinto la produzione di vetro artistico del Novecento: Salviati & C., gli Artisti Barovier, la Compagnia di Venezia e Murano, che poi alla fine del XIX secolo sono diventati F.lli Toso e Testolini.Diversi sono gli artisti che si sono affiancati nelle fornaci con i maestri vetrai per dar luce alle loro opere interamente in vetro.Si tratta di esemplari unici e irripetibili, creati con giochi di trasparenze, di luci e di colori.Ha favorire la crescita dell’interesse per l'arte dei vetri di Murano è complice l’importanza delle famose esposizioni alle quali hanno partecipato grandi artisti come Le Biennali Internazionali di Venezia e le Triennali Milanesi.Alcuni fra i nomi più celebri degli artisti del vetro del Novecento sono: Lino Tagliapietra, Laura de Santillana, Afra e Tobia Scarpa, Loredano Rosin, Horst Sobotta, Marco Zanini, Renato Guttuso, Fulvio Bianconi, Mary Ann “Toots” Zinsky, Renzo Ferro, Vittorio Ferro, Renzo Pavanello, Toni Zuccheri, Archimede Seguso…e molti altri.https://oldpaintingsonline.com/categoria-prodotto/vetri-veneziani/

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La Fiera della Vita

La fiera antiquaria come scuola di vita. Con i suoi treni che sovente passano una sola volta ed anche se la destinazione non è quella che sognavi spesso conviene prenderli al volo, perché il rischio è di rimanere al palo. Ti insegna poi che tutto è sostituibile, che non bisogna essere troppo fiscali perché potrebbero diventarlo anche gli altri. Ed il pugno di mosche è sempre in agguato. Che le occasioni per avere soddisfazioni potrebbero esser lì ma che bisogna saperle vedere e coglierle quando capitano. Ma anche che non è tutto oro ciò che brilla. La fiera ti insegna ancora, che il segreto della vita è il tempo. Perché il tempo è limitato. E più cose riesci a fare in quel tempo, meglio lo avrai sfruttato. La fiera ti insegna che tutto ha un costo ed un rischio. Ma che vale sempre la pena di viverla anche rischiando di cadere.Siamo tutti in fiera, quella della vita. Cerchiamo di fare del nostro meglio, sempre. Abbiamo solo da guadagnare.Claudio Valiani

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Bolle di Sapone

Bolle di SaponeLa mostra mercato nazionale Assisi Antiquariato, aperta dal 25 aprile all’1 maggio, offre lo spunto per poter visitare il magnifico territorio umbro ed anche una curiosa mostra a Perugia.La vanità, intesa come elemento di instabilità, è l’insolita chiave di lettura di questa mostra che riunisce grandi artisti dal XVI al XX secolo.Bolle di Sapone. Forma dell’utopia tra  vanitas, arte e scienza, a Perugia, fino al 9 giugno, raccoglie circa 60 opere legate al fil rouge di ciò che più di ogni altra cosa incanta, ma è effimero:le bolle di sapone, viste come realtà impalpabile e priva di sostanza.Sono spesso capolavori provenienti da prestigiose istituzioni, quali l’Hermitage, la National Gallery e gli Uffizi.Una carrellata di opere riassunte nell’Allegoria della vanità umana, di Karel Dujardin (1663) che presenta, con l’intento di condannarla, questa eccessiva presunzione di piacere come una fanciulla dai tratti vagamente allucinati, ispirata dalle bolle di sapone, metafora del nulla.Un atteggiamento altrettanto negativo è nei quadri di Jan Brueghel il Giovane, pittore fiammingo anche lui legato alla Controriforma fortemente critica verso gli eccessi, mentre per una valutazione più positiva della “vanitas” bisogna attendere gli inizi del Novecento, quando essa diventa impulso al commercio nella cartellonistica pubblicitaria (famoso il manifesto Achille Banfi di Gino Boccasile del 1937).La mostra è visitabile presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Corso Pietro Vannucci 19, Perugia fino al 9 giugno 2019 http://www.gallerianazionaledellumbria.it

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Sacra Famiglia Medici

SACRA FAMIGLIA MEDICI, Andrea del Sarto, olio su tavola, 140x104 cm, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti.Questo dipinto fu realizzato per Ottaviano de’ Medici e, secondo Vasari, a questi consegnato quando era imprigionato a Palazzo Vecchio dai repubblicani nel 1529.Vasari racconta che conservò il dipinto per Ottaviano e che glielo fece recapitare dopo la restaurazione medicea del 12 agosto 1530.Passata alla vedova di Ottaviano, Francesca Salviati, nel 1568 (Vasari 1550, ed. 1991 Vol. II p. 724), l’opera è sempre rimasta nelle collezioni medicee, citata negli inventari del 1589 (Tribuna), 1637 e 1687 (Pitti), 1723.Sono note numerose copie su tavola o su tela, che testimoniano l’indiscussa fortuna della composizione, in modo particolare tra gli artisti fiorentini che ne apprezzavano i rimandi ai grandi maestri Michelangelo e Raffaello.Oggi è possibile ammirarla alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, e precisamente, nella sala di Apollo, dove si trova un’altra composizione eccezionale del maestro Andrea del Sarto: la Pietà di Luco.La Pietà di Luco, eseguita su tavola, fu acquistata dalle monache del monastero di Luco dal granduca Pietro Leopoldo nel 1782, ed entrò al Pitti nel 1795, proveniente dagli Uffizi, a cui fu data in cambio la Madonna delle Arpie sempre di Andrea del Sarto.Per sfuggire alla peste che dilagava in città, Andrea si trasferì, grazie all'aiuto dell'amico Antonio Brancacci, con la famiglia, a Luco di Mugello, presso le monache camaldolesi. Ricevette così la commissione dell'opera dalla Badessa del monastero, Caterina di Tedaldo della Casa (ritratta nel dipinto come Santa Caterina d'Alessandria) per porla sull'altar maggiore della chiesa. L'opera iniziata nell'autunno 1523 dovette essere finita nell'ottobre del 1524 quando il suo autore fu pagato 80 fiorini. Fu probabilmente collocata al suo posto solo nel 1527 data riportata sul retro dell'altare (Padovani, 1986). In loco esiste una copia realizzata da Santo Pacini nel 1783, dal momento Pietro Leopoldo acquistò la tavola per 2400 scudi. Nel 1795 l'opera fu trasferita a Pitti dietro suggerimento del direttore degli Uffizi, il Puccini, in cambio della Madonna delle Arpie. Da allora è rimasta in tale collocazione, tranne che per il periodo napoleonico (1799-1815).

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