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Benvenuti sul blog di OPO, dove troverete una raccolta completa di articoli e approfondimenti sull’antiquariato Italiano, ma anche le ultime novità su eventi, mostre e molto altro ancora.

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La collezione Giuseppe Alessandra

La collezione di opere d'arte antica e moderna dell'architetto Giuseppe Alessandra è nata più di sessant'anni fa e si è formata tra le lagune veneziane e Treviso, città dove abita il collezionista.Essa si è costituita poco a poco, giorno dopo giorno, come lui ama raccontare, a seguito dell'incontro a Venezia , nel lontano 1956, dello stesso Alessandra con lo storico d'arte Pietro Zampetti, e della loro successiva amichevole frequentazione. Entrambi facevano parte allora della Commissione per l'Elaborazione del Piano Particolareggiato del Centro storico di Venezia (1956-1959), che entrerà in vigore nel 1962.Un'amicizia lunga fra l'intellettuale anconetano, direttore delle Belle Arti del Comune di Venezia e organizzatore di prestigiose mostre d'arte (1953-1969), e l'architetto moglianese, funzionario prima e dirigente poi dell'Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto, che ha dedicato gran parte della vita al collezionismo.Frequentando in quegli stessi anni gli ambienti culturali veneziani, ed in particolare la Fondazione Giorgio Cini, Alessandra entrò quindi in contatto con i più grandi storici dell'arte (non solo veneti, ma anche toscani e lombardi): da Giuseppe Fiocco a Rodolfo Pallucchini, da Tarisio Pignatti a Francesco Valconover, Da Roberto Longhi a Enzo Carli, da Pietro Torriti a Giovanni Testori.Percorso tra le Opere della Collezione Alessandra dal XV al XX secolo, introduzione di Ettore Merkel.

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La musica e il liuto

Nei dipinti la Musica spesso è associata alle circostanze della vita umana, dalla più solenni alle più intime. L’iconografia spesso individua e circoscrive i luoghi della musica: chiese, teatri o sale da concerto, contesti campestri destinati a bucolici idilli o comuni strade cittadine, regno dei musicisti itineranti.Molti sono gli strumenti musicali che hanno dipinto i grandi maestri come, per esempio il liuto.Il liuto è uno strumento a corde, a forma di cassa bombata, la cui tavola è munita di un foro di risonanza centrale con una rosetta intagliata. Il repertorio destinato allo strumento si estende dagli inizi del XVI secolo-quando a Venezia furono stampate le prime raccolte di musiche- fino al 1770 circa, ed è associato a un particolare sistema di scrittura, l’intavolatura, con il quale si indicavano attraverso dei segni, le posizioni che le dita dovevano assumere sulle corde.Nel XVII secolo, aumentando il numero delle corde, al manico si aggiunse un cavigliere ausiliare, sul quale furono fissate delle corde supplementari che vibravano per simpatia.In quest’epoca, la musica per liuto, fu particolarmente coltivata in Francia, grazie a compositori quali Ennemond e Denis Gaultier, e in Germania, dove si protrasse fino al XVIII secolo. In Italia e in Spagna lo strumento cominciò invece a declinare, in seguito all’affermarsi della chitarra e del clavicembalo.

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La lotta di Giacobbe con l’angelo

La lotta di Giacobbe con l’angeloQuesto episodio dell’Antico Testamento, a partire dal quale Giacobbe assume il nome di Israele, viene variamente interpretato come allusione a combattimenti allegorici o alla lotta fra l’uomo e Dio.Nel viaggio di ritorno verso la terra di Canaan, il paese dei suoi antenati, Giacobbe, temendo la vendetta del fratello Esaù, invia dei messaggeri in avanscoperta. Essi tornano annunciando che il fratello è in marcia contro di lui con quattrocento uomini.Giacobbe, allora, decide di inviare ad Esaù i migliori capi del suo gregge per ingraziarselo e di andargli incontro, dopo di questi, lui stesso con la famiglia.Così i servi con ciascuna parte del gregge si dirigono verso Esaù, mentre Giacobbe trascorre la notte nell’accampamento. Dovendo attraversare il fiume Iabbok, nel cuore della notte, egli prende le mogli, le serve e gli undici figli e passa attraverso il guado sull’altra sponda. Poi Giacobbe rimane solo e gli va incontro un uomo che lotta con lui fino allo spuntare dell’aurora.  Quando l’uomo vede che non riesce a vincere Giacobbe gli sloga l’articolazione del femore e gli dice: “Lasciami andare che spunta l’aurora”. Giacobbe risponde: “Non ti lascerò partire se non mi avrai benedetto”. L’uomo allora riprende: “Non più Giacobbe sarà il tuo nome, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto”. Quindi lo benedice. Giacobbe chiama quel luogo Penuel, perché vi ha visto Dio in faccia, ma è rimasto vivo.L’angelo nel testo biblico viene chiamato semplicemente “uomo”, perché nasconde la sua identità, rimanendo avvolto nel segreto divino.Tratto da Episodi e personaggi dell’Antico Testamento, Electahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/lotta-di-giacobbe-con-langelo/

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Antioco e Stratonice

Antioco e Stratonice: la storia è narrata dal grande biografo e filosofo Plutarco (circa 46 d. C.-dopo il 120), nelle sue Vite parallele dedicate alle esistenze di uomini illustri.Si tratta della vicenda di Demetrio, le cui bella figliola Stratonice, era stata data in moglie al vecchio re Seleuco. Malgrado ciò, Antioco, figlio dell’anziano sposo, appena vide l’avvenente consorte del padre, se ne innamorò perdutamente; tuttavia, intuendo le scarse possibilità di coronare il suo sogno d’amore segreto, fu colto dalla malinconia e da un malessere debilitante.Seleuco, preoccupato della salute del suo erede, decise di chiamare al capezzale di Antioco il famoso medico Erasistrato, il vecchio ritratto dietro all’infermo, affinché lo guarisse; egli capì immediatamente di cosa si trattasse e decise perciò di far sfilare le donne del palazzo ad una ad una, dinanzi al malato: quando fu il turno di Stranonice, Erasistrato si accorse delle palpitazioni improvvise di Antioco ed ebbe così conferma della sua diagnosi di “mal d’amore”. L’illustre guaritore decise allora di domandare a Seleuco di cedere la giovane moglie ad Antioco, che, grazie alla risposta affermativa del sovrano, guarì.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/andrea-celesti/ 

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Bacco Bambino

Bacco è il figlio nato dal frutto della relazione extra-coniugale tra Giove e Semele, la bellissima figlia del Re di Tebe.Semele, ingannata da Giunone gelosa di Giove, insiste con il suo amante per poterlo vedere com’era realmente e Giove, mostrandosi, la folgora. Il figlio, che teneva in grembo, si salva e Giove per poter portare a compimento la sua formazione, se lo cuce all’interno della coscia.Quando il bimbo nasce, Giove lo affida a Mercurio che lo consegna alle ninfe del monte Nisa affinché lo allevino.Cresciuto nella solitudine dei boschi, Bacco pianta le viti, inebriandosi dell’  “umòr che da essa cola”.Bacco è il dio della vite e del vino.La figura di Bacco è anche strettamente legata alla nascita del teatro. Il teatro, infatti, sarebbe nato come celebrazione religiosa in onore del dio, amante della danza e della musica.Bacco è anche considerato la divinità di culti misterici, cioè di culti che prevedevano l'iniziazione dei seguaci e la segretezza dei riti. Agli iniziati è promessa la beatitudine eterna nell'aldilà. Con questi riti si confondono ben presto quelli orfici, dei quali Bacco è pure la divinità principale.A Roma la degenerazione dei riti in pratiche scandalose porta il Senato nel 186 a.C. a vietare le associazioni che hanno per oggetto il culto bacchico.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/bacco-bambino/

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Lo smalto viennese

Lo smalto è quella tecnica artistica che accoppia paste vitree a superfici metalliche, impiegate come supporto, attraverso un processo di fusione al forno. Sorta dalla necessità di aggiungere «colore» ai metalli preziosi, è una tecnica quindi che si colloca tra quella del vetro e l'oreficeria.La decorazione a smalto è nota sin dall’antichità, già all’epoca degli Assiri e degli Egizi.In Europa i luoghi in cui venne più utilizzato in epoca medievale era l’Italia, la Francia settentrionale e la Renania, protraendosi fino al Rinascimento con produzioni eccezionali come la famosa saliera d’oro di Francesco I di Benvenuto Cellini conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.Nel secolo XIX sono stati fatti tentativi specialmente in Francia e a Vienna di rimettere in onore lo smalto soprattutto ricollegandosi alla tradizione medievale.Vienna, in particolar modo, nella seconda metà del XIX secolo, diventa un centro importante per la lavorazione dell’argento e del bronzo decorati con lo smalto per dare colore agli oggetti.A Vienna lavorano due famosi maestri, che aiutano a diffondere questo gusto neorinascimentale e neoclassico nella città: Hermann Ratzersdorfer e Hermann Bohm.Ecco che questa moda avvolge tutta la città e i monumenti architettonici. Anche la vita domestica viene contaminata da questo gusto estetico: vengono realizzate meravigliose stoviglie e accessori di lusso, centrotavola, monetieri, calici, vasi, tabacchiere, orologi da tavolo e da camino. Le forme vengono ispirate dai modelli classici e rinascimentali.

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Hubert Robert

Fu allievo dello scultore Michelangelo Slodtz. Nel novembre1754 venne in Italia al seguito del conte di Stainville, ambasciatore di Francia, poi duca di Choiseul e vi restò dieci anni. Il duca nel 1754-58 fu cliente del Panini e a Panini si legò in modo particolare Robert. Nel 1759 fu ammesso come pensionante nell’Accademia di Francia a Roma in Palazzo Mancini, dove si legò di amicizia con Fragonard e col Panini che vi insegnava. Natoire allora direttore dell’Accademia scrisse di lui che stava lavorando con ardore nel genere del Panini.Nel 1760 fu ospitato nella villa d’Este a Tivoli dall’Abate Saint-Non che reclutò lui e Fragonard, che era entrato nell’Accademia nel 1756, per fari collaborare alle illustrazioni del suo Voyage pittoresque. Li condusse così a Napoli, a Ercolano e a Paestum per far loro eseguire disegni da incidere poi come illustrazioni del suo libro.Nel 1762 Robert lasciava l’Accademia, ma restò a Roma ancora per tre anni. Il suo entusiasmo per le antichità lo portò a scalare il Colosseo.Nel 1765 tornò a Parigi dove nel 1766 fu ammesso nell’Academie Royale. Nel 1767 espose ai Salons, ormai famoso come il “Robert des Ruines”.Nel 1784 fu nominato conservatore dei dipinti del Musée Royal appena fondato, ma durante la rivoluzione fu arrestato e messo in carcare. Solo nel 1802 ottenne una pensione a vita e potè fare un ultimo viaggio in Italia col pittore Rey. Morì a Parigi nel 1808.I pittori di Vedute in Italia (1580-1830), Ugo Bozzi Editore srl Romahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/hubert-robert/

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L'imperatore Tiberio a Capri

L’imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto governò l’Impero Romano dal 14 al 37 D.C.Tiberio, abbandonò la caotica Roma e decise di comandare il mondo con lo sguardo fisso ai Faraglioni di Capri.Tiberio è stato diversamente denominato: un precursore dell’esistenzialismo di Sartre, un grande imperatore, un pervertito, come maliziosamente afferma Svetonio.Fu certamente uno dei più convinti amanti dell’isola, dove si fece costruire ben dodici ville.La più grandiosa è Villa Jovis, una magnifica dimora, alta sulla roccia, dalla quale il panorama che si gode è stupefacente. Come uno sceicco odierno, il buon Tiberio pensò bene di curare le sue malinconie con il clima ed il panorama di Capri, scendendo in portantina fino alla sua spiaggia privata dove si bagnava in un’acqua il cui azzurro doveva essere assolutoVilla Jovis è estesa su un'area di circa 7.000 metri quadri e domina l'intero promontorio di Monte Tiberio e la conca che scende verso Cesina. La vista che si può godere dal lato nord abbraccia buona parte del Golfo di Napoli, spaziando dall'Isola di Ischia fino a Punta Campanella, mentre il lato sud affaccia sul centro di Capri.Le sue caratteristiche architettoniche ricordano quelle delle classiche ville del periodo romano, ma anche quelle di una piccola fortezza. Al centro si trovavano le cisterne per la raccolta delle acque piovane, risorsa fondamentale su un'isola priva di fonti naturali, usate sia come acqua potabile che come riserva destinata alle terme che si articolavano nei classici ambienti del apodyterium, frigidarium, tepidarum e calidarium.L'alloggio dell'imperatore e dei sui fedeli si trovava a nord, ad ovest c'erano gli alloggi dei servi mentre ad est la sala del trono.A Villa Jovis c'era anche un faro che veniva utilizzato per le comunicazioni con la terraferma. Questo però crollo con un terremoto che distrusse buona parte della villa pochi giorni dopo la morte di Tiberio.I resti di Villa Jovis sono stati ignorati per anni e molti reperti sono andati persi. Altri si trovano al Museo Archeologico a Napoli e alcuni marmi sono stati utilizzati per la costruzione della chiesa di Santo Stefano. Solo nel 1932 gli scavi sono stati recuperati e valorizzati.Tiberio si trasferì definitivamente a Capri nel 27 D.C. a seguito di un forte eritema che gli colpì il viso. A Villa Jovis amava ospitare uomini di studio, letterati ed astrologi.Ma vi invitò anche cortigiane e cortigiani per il suo piacere personale, tanto che lo storico del tempo, Svetonio, racconta che nelle sue camere collezionasse dipinti erotici di fattura greca, non per amore dell’arte, bensì per trarne ispirazione durante le frequenti ed amate orge in cui adorava “impegnarsi”.Di tutti i tempi, Tiberio fu certamente il turista più affezionato e più celebre.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/grande-dipinto-con-bagnanti-3/

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Cortona Antiquaria

Cortona Antiquaria è la mostra d’antiquariato più antica d’Italia ed avrà luogo dal 24 agosto all’8 settembre nella suggestiva location di palazzo Vagnotti, nel cuore della pittoresca cittadina toscana.Cortona è un luogo magico, adagiato nel cuore della Valdichiana, poco lontano dal lago Trasimeno.Passeggiare nel centro storico è un’esperienza suggestiva, sembra di vivere in un’epoca lontana, dove tutto è ancora genuino, essenziale, a “misura d’uomo”.Delizioso sedersi sulla imponente scalinata del Palazzo del Capitano del Popolo e guardare l’andirivieni di turisti, soprattutto inglesi, che passeggiano per la piazza della Repubblica.Imperdibile sorseggiare un caffè seduti in uno dei numerosi café affacciati su Piazza Signorelli su cui si ergono l’omonimo Teatro e il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona (MAEC).Nel Museo della Città etrusca e romana di Cortona, istituito nel 1727, si trova una sezione dedicata alla città di Cortona, con i preziosi corredi funerari delle tombe etrusche rinvenute nel territorio circostante, le ceramiche e la famosa Tabula Cortonensis, un documento etrusco di tipo contrattuale scritto su bronzo e assai raro. Ci sono poi sale dedicate alla Cortona romana e tardo-antica. La sezione delle sale dell’Accademia espone le opere in possesso della più importante istituzione culturale cittadina. Di maggiore pregio e veri e propri “simboli” della cultura cortonese sono da ricordare il lampadario etrusco in bronzo, la raccolta di ceramiche e bronzi etruschi e romani, la collezione Corbelli di materiali della civiltà egizia, la serie di opere del pittore cortonese Gino Severini, uno dei fondatori del futurismo. Vengono inoltre presentati molti materiali archeologici provenienti dalla città e dal territorio.Da visitare anche il Museo Diocesano del Capitolo di Cortona, proprio vicino a palazzo Vagnotti, sete di Cortona Antiquaria. Nasce alla fine della Seconda Guerra Mondiale per volontà del Vescovo Giuseppe Franciolini e del Capitolo della Cattedrale con lo scopo di tutelare, conservare e dare degna e appropriata collocazione agli straordinari capolavori provenienti dalle chiese, dai conventi e dagli oratori di Cortona e della sua diocesi. Raccoglie al suo interno le grandiose opere d’arte di Beato Angelico, Bartolomeo della Gatta, Lorenzetti, Luca Signorelli, Giuseppe Maria Crespi e Francesco Capella, insieme ad arredi liturgici, reliquiari e paramenti sacri di notevole valore storico ed artistico; ricordiamo particolarmente l’Annunciazione del Beato Angelico, la Deposizione del Signorelli, l’Estasi di Santa Margherita del Crespi, il Reliquiario Vagnucci e il Parato Passerini, realizzato su disegni di Raffaellino del Garbo e Andrea del Sarto.Alcuni dei capolavori più conosciuti del museo trovano oggi collocazione nella suggestiva chiesa del Gesù: l’Annunciazione e il Trittico del Beato Angelico, la Croce del Lorenzetti, il Trittico del Sassetta, l’Assunta di Bartolomeo della Gatta. Dove un tempo era l’altare maggiore fa splendida mostra di sé il quattrocentesco fonte battesimale di Ciuccio di Nuccio, originariamente in Cattedrale.Con un minimo sforzo fisico, facendo una breve passeggiata, si raggiunge la basilica di Santa Margherita, patrona della città. Posizionata nella parte alta del borgo, in un’incantevole posizione, fu costruita su disegno di Giovanni Pisano dopo la morte della Santa avvenuta alla fine del 1200. Venne arricchita da pitture e sculture soprattutto di scuola senese. Venne successivamente trasformata in chiave barocca ma è possibile ancora ammirare il ricco mausoleo di marmo di Scuola Senese nella parete sinistra del transetto, l’urna della Santa, opera di Pietro da Cortona e, nell’altare di fondo della navata destra, un prezioso Crocefisso in legno, già nella chiesa di San Francesco, opera di un artista ignoto dei primi anni del 1200, davanti al quale Margherita pregava.Per ultimo in lista, ma non in ordine d’importanza, l’esperienza culinaria è ineccepibile. Nei numerosi locali tipici si può veramente assaporare il gusto della terra Toscana: la ribollita, i funghi di stagione, i salumi della vicina Nocia, i formaggi del territorio, tutto accompagnato da vini che deliziano il palato e la mente.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/pieter-de-witte/

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Eraclito

“Non c'è realtà permanente ad eccezione della realtà del cambiamento; la permanenza è un'illusione dei sensi.”Eraclito fu un filosofo greco nato il 535 a.C. ad Efeso e morto nel 475 a.C.  sempre ad Efeso.Eraclito fu uno dei maggiori pensatori presocratici. Il suo pensiero risulta particolarmente difficile da comprendere ed è stato interpretato nei modi più diversi a causa del suo stile oracolare e della frammentarietà nella quale ci è giunta la sua opera. Eraclito aveva comunque fama di cripticità già nella sua epoca. Ad esempio Aristotele, che si suppone ne abbia letto integralmente l'opera, lo definisce «l'oscuro»; persino Socrate ebbe problemi a comprendere gli aforismi dell'«oscuro», sostenendo che erano profondi quanto le profondità raggiunte dai tuffatori di Delo. Eraclito influenzò in vario modo i pensatori successivi: da Platone allo stoicismo, la cui fisica ripropone in gran parte la teoria eraclitea del logos.Logos significa scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare.Eraclito sosteneva che il Logos doveva essere una "legge universale” che regola secondo ragione e necessità tutte le cose: «Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo logos e necessità.»Eraclito diceva che agli uomini è stata rivelata questa legge ma essi continuavano ad ignorarla anche dopo averla ascoltata. Il Logos appartiene a tutti gli uomini ma in effetti ognuno di loro si comporta secondo una sua personale phronesis, una propria saggezza. I veri saggi invece sono quelli che riconoscono in loro il Logos e ad esso s'ispirano come fanno coloro che governano la città adeguando le leggi alla razionalità universale della legge divina.Eraclito è passato alla storia anche come il filosofo del divenire, legato al motto Pánta rhêi, espressione che vuol dire tutto scorre. Egli crede che ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione, per questo anche ciò che sembra statico e fermo, in realtà è dinamico e in movimento.Pánta rheî, questo celebre aforisma, è stato attribuito ad Eraclito, da Platone che, nel suo Cratilo scrive: «Dice Eraclito "che tutto si muove e nulla sta fermo" e confrontando gli esseri alla corrente di un fiume, dice che "non potresti entrare due volte nello stesso fiume"».https://oldpaintingsonline.com/prodotto/eraclito-di-efeso/

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Guidoccio Cozzarelli

La personalità storico e artistica di Guidoccio Cozzarelli non è mai stata caratterizzata a sufficienza: i documenti che fanno riferimento a lui sono poco chiari e le sue opere datate cadono tutte nel breve periodo di quattro anni compresi tra il 1482 e il 1486. Oggi è noto che Cozzarelli- identificato precedentemente come un “Cozzarello”, citato insieme a Sano di Pietro in un documento del 1450 relativo ai lavori nel Duomo di Siena- nacque in quell’anno. E’ presumibile che sia entrato nella bottega di Matteo di Giovanni attorno al 1470, ed in effetti le sue prime opere datate, una serie di miniature, realizzate fra il 1480 e il 1482, per i Corali del Duomo di Siena e una Madonna con Bambino in trono, fra San Gerolamo e il Beato Colombini del 1482, derivano direttamente dallo stile di Matteo di Giovanni alla fine degli anni Settanta del Quattrocento. Le opere dei due artisti sono state più di una volta confuse, e continuano ad esserlo, nonostante la pubblicazione di vari studi specialistici che avevano il solo scopo di distinguerli l’uno dall’altro. Cozzarelli è stato tradizionalmente snobbato come pessimo imitatore di Matteo di Giovanni, una tesi che appare smentita dalle sue due pale d’altare databili attorno al 1483 e al 1486, entrambe nella chiesa di San Bernardino a Sinalunga, e dal mutilato polittico di Rosia. Ne è risultato che molte delle ultime opere di Matteo, in cui si rilassano la linea nervosa del disegno e la brillante tavolozza delle prime tavole, sono state spesso attribuite a Cozzarelli, così come alcune delle opere migliori di Cozzarelli continuano ad essere assegnate a Matteo.Nell’ultimo decennio del Quattrocento lo stile di Cozzarelli virò bruscamente sotto l’influsso di un altro allievo più giovane di lui, appartenente alla bottega di Matteo di Giovanni, Pietro Orioli: tanto che ancora una volta i due pittori sono stati, e continuano ad essere, confusi.L’ultima opera datata di Cozzarelli, un San Sebastiano a figura intera del 1495 nella Pinacoteca di Siena, è chiaramente legata ad un gruppo di tavole devozionali con la Madonna e il Bambino, molte delle quali vengono ancora attribuite a Giacomo Pacchiarotto (cioè Pietro Orioli), ma sono in realtà opere di Cozzarelli.La recente identificazione e la nuova datazione delle opere di Orioli permettono di comprendere aspetti nuovi del complesso sviluppo di Cozzarelli, ancora tutto da esplorare.La Pittura Senese nel Rinascimento 1420-1500, Monte dei Paschi di Sienahttps://oldpaintingsonline.com/prodotto/giudoccio-di-giovanni-cozzarelli/

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Appuntamenti d'arte sul lago di Garda

Caravaggio Experience al Castello di Desenzano fino al 13 ottobre 2019: un viaggio esplorativo alla scoperta delle tecniche, dei temi e dei segreti di uno dei più grandi innovatori della storia dell’arte.Grazie alla regia di Stefano Fomasi, fondatore di The Fake Factory, una spettacolare videoinstallazione immergerà il pubblico in cinquantotto opere e nella vita di Michelangelo Merisi attraverso un’iniziativa totalizzante da un punto di vista estetico, ma anche emotivo e sensoriale. I visitatori, per la durata di cinquanta minuti, prenderanno parte a uno spettacolo fatto di proiezioni, musiche e fragranze olfattive, in un’esperienza cangiante e interattiva dell’opera d’arte.La videoinstallazione è divisa in sezioni e ciascuna di esse indagherà un tema “caravaggesco”: dalla ricostruzione degli studi sulla luce, all’analisi dei processi compositivi, passando per la rappresentazione della natura e della violenza fino a un tour virtuale nei luoghi della vita del pittore.Dopo il successo di pubblico registrato a Roma, Torino, Rimini e Città del Messico, Caravaggio Experience viene presentato anche al Castello di Desenzano grazie al contributo del Gruppo MilanoCard e di Medialart che con questa nuova iniziativa confermano la propria volontà di offrire al pubblico una proposta culturale di alto profilo e allo stesso tempo un’esperienza inedita che accompagna anche i meno esperti alla conoscenza del grande maestro.https://www.caravaggioadesenzano.it/ Contemplazioni: i visionari al Mu.Sa di Salò, museo di Salò in via Brunati, a cura di Vittorio Sgarbi, fino all’8 dicembre: la mostra è un susseguirsi di camere delle meraviglie articolato in cinque sezioni, ognuna dedicata a un artista contemporaneo. Il MuSa diventa così il luogo mistico in cui poter incontrare le alchimie di Agostino Arrivabene, il mondo fantastico e indecifrabile di Luigi Serafini, le presenze di Domenico Gnoli, l’aldilà di Cesare Inzerillo e la prorompente ricerca di Gaetano Pesce. Cinque contemporanei (l’unico non vivente è Gnoli) per una mostra intensa e suggestiva nelle sue molteplici sollecitazioni estetiche.https://www.museodisalo.it/mostre/contemplazioni

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Il micromosaico

“Un uomo che non sia stato in Italia, sarà sempre cosciente della propria inferiorità, per non avere visto quello che un uomo dovrebbe vedere”. Samuel JohnsonIl micromosaico consacra il suo successo internazionale durante il Grand Tour, per soddisfare le raffinate esigenze di turisti stranieri in visita nella magnifica Italia.Il Grand Tour: questo periodo storico, artistico e letterario che inizia nel XVIII secolo e invade il XIX secolo; la moda del classicismo e le nuove scoperte archeologiche non possono che attirare intellettuali e curiosi nella terra della romanità.Per venire incontro alle esigenze di questo particolare pubblico, desideroso di portare in patria un ricordo dei luoghi visitati, si sviluppa a Roma, tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, la tecnica del micromosaico.A Roma,  nel 1727, viene istituito lo Studio Vaticano del Mosaico con un gran numero di mosaicisti alle dipendenze della Reverenda Fabbrica di San Pietro.Proprio dai  mosaicisti dei laboratori dello Studio Vaticano vennero realizzati degli splendidi gioielli in micromosaico, orecchini, spille, bracciali.Nel micromosaico romano, le piccole tessere di vetro vengono accostate e fissate assieme con del mastice su una superficie di vetro o pietra per riprodurre un disegno tracciato sulla base precedentemente. I soggetti tipici di questo tipo di mosaico sono le rovine romane, scene mitologiche e religiose e riproduzioni di antichi mosaici, come quelli Capitolini.La  produzione in micromosaico oggi nota costituisce un patrimonio di inestimabile valore che ha tutte le caratteristiche per essere valorizzato nel contesto dell'insegnamento superiore, come già accade per altre espressioni delle arti decorative.

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Annibale Carracci

Annibale Carracci fu giudicato da molti contemporanei e dalla maggioranza dei critici e filologi successivi come uno dei più grandi innovatori della pittura.Visse nella stessa epoca di Caravaggio, anch’egli paradossalmente visto in una chiave analoga, ma più nella veste di evasore che di innovatore. In questa singolare differenza risiede parte dello straordinario interesse che la figura di Annibale Carracci ha sempre destato nella storiografia. Malgrado la sua fama enorme, è notevole osservare come molti siano i punti controversi relativi alla sua arte.Il primo luogo non è chiara la cronologia esatta di alcune opere cruciali, poco e mal documentate. In secondo luogo permane incerta l’interpretazione di capolavori decisivi, primi fra tutti gli affreschi della Galleria di palazzo Farnese a Roma, di cui, al di là della classica lettura che ne diedero gli storici seicenteschi, non sono ancora ben chiari il significato profondo e i tempi di lavorazione.Malgrado questo è evidente che Annibale Carracci ebbe una posizione di assoluto spicco nella storia della pittura tra Cinquecento e Seicento, e anche il suo rapporto con Caravaggio resta uno degli aspetti più interessanti del panorama artistico dell’epoca.Annibale Carracci fu visto dagli storici tra Seicento e Settecento come il nuovo Raffaello.  Tra gli innumerevoli esempi, basti ricordare una frase emblematica dell’importante erudito perugino Luigi Pellegrino Scaramuccia che, nel noto trattato Le Finezze de’ pennelli italiani (edito nel  1674) scrive, descrivendo una ricognizione di esperti nelle vie di Roma: “S’abbatterono alla fine nelle famosa, non meno che ammirabile, Galleria dipinta a fresco, quale per sempre a onta dell’Invidia sarà eternamente apprezzata per un singolar portento del pennello del grand’Annibale Carracci, poiché il disegno in essa in compagnia d’un perfetto clorito, eccellentemente trionfa, e gli artefici, le Maestrie, e le vaghe Inventioni vie sempre per quelle pareti, per meraviglia d’ogni ingegno, ad ogn’hora risplendono”. E questo sarebbe accaduto “ doppo il Sole del nostro Raffaello”.Nella lettura di Scaramuccia sono già consolidati alcuni concetti che accompagneranno sempre, fin nei nostri tempi, la lettura di Annibale Carracci, tra cui evidentissima l’idea della conciliazione del colorito con il disegno, attribuendosi il dominio del colore alla scuola padana culminata nel Correggio e il disegno nella scuola romana culminata appunto in Raffaello.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/madonna-con-bambino-ovale/Testo tratto da Annibale Carracci, Claudio Strinati, Art Dossier

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L’icona russa

L’icona russa, ormai da duemila anni, costituisce l’immagine che la chiesa ha fornito al culto dei credenti come luogo della presenza di Dio.  La venerazione del religioso non si rivolge però all’immagine rappresentata, bensì a qualcosa di più profondo ed astratto, in altre parole a colui che in essa è rappresentato. Questo è il motivo principale per cui le fattezze dei soggetti rappresentati non sono realistiche come quelle di un ritratto.Dice Sergij Bulgakov nel suo testo Ortodossia: "L’icona è una necessità essenziale per il culto… è infatti il luogo di presenza di grazia, come un’apparizione di Cristo. Si prega davanti all’icona di Cristo come davanti a Cristo stesso…L’esigenza di avere con sé e davanti a sé l’icona proviene dalla concretezza del sentimento religioso, che non si accontenta della sola contemplazione spirituale, ma cerca una vicinanza diretta sensibile, com’è naturale per l’uomo composto d’anima e di corpo…La venerazione delle sante icone si fonda quindi non solo sul contenuto stesso delle persone o degli avvenimenti in essi raffigurati, ma sulla fede in questa beata presenza, che è data dalla fede in forza del rito di benedizione dell’icona. Mediante la benedizione avviene nell’icona di Cristo un misterioso incontro fra colui che prega e Cristo stesso…”.Le icone più antiche risalgono probabilmente alla prima metà del IV secolo, quando il cristianesimo aveva già raggiunto una certa maturità. Secondo i Padri esse avrebbero potuto fornire un valido aiuto al consolidamento della fede.La tecnica usata per l’esecuzione dalle prime icone è quella dell’encausto  -tecnica già nota agli egiziani- che consisteva nell’applicazione a caldo su supporto asciutto di colori impastati con cera.A partire dal IX secolo, dopo il periodo di repressione religiosa rappresentato dall’iconoclastia, prese avvio a Costantinopoli, città prescelta dagli imperatori come loro sede, un periodo di splendore per tutte le produzioni artistiche, da quelle architettoniche (furono edificate più di cento chiese) a quelle delle icone.Nel XII secolo l’icona subì l’influenza della produzione artistica costituita dai mosaici. Da essi in particolare fu ripreso il portamento delle figure, poste sempre frontalmente, e l’espressione semplice e severa dei volte.Un altro periodo, oltre a quello delle lotte iconoclastiche, in cui la produzione delle immagini sacre fu soggetta ad una battuta d’arresto, fu quello delle crociate (XIII secolo), durante le quali la città di Costantinopoli fu ferocemente saccheggiata. Come conseguenza di questi tragici eventi , i più importanti artisti che risiedevano nelle città furono costretti a fuggire e a trasferirsi in città limitrofe, come Macedonia, Candia, Cipro: nonostante ciò essi continuarono a lavorare mantenendosi sempre fedeli alla tradizione bizantina.Nel corso dei secoli successivi, l’icona torna ad essere una delle forme più rappresentative dell’arte, e le raffigurazioni diventano più delicate, raffinate e permeate da una maggiore umanità (XIV secolo), oltre che più complesse, con l’inserimento di paesaggi ed architetture che fungono da cornice per la figura umana (XV secolo).La definitiva crisi della fede ortodossa dell’impero bizantino si ebbe nel 1453 quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli. La produzione iconografica si spostò allora verso la Grecia, le isole del Mediterraneo e i Balcani, oltre che la Russia.Le icone le mettevano sulle porte delle città, in casa al posto d’onore, le portavano nei campi di battaglia ed erano il simbolo più importante delle processioni. In sostanza erano presenze benefiche delle vita umana: nascono icone che proteggono le partorienti, davano conforto agli ammalati, vegliavano i moribondi, seguivano il defunto nella tomba, in attesa del Giudizio.https://oldpaintingsonline.com/prodotto/cristo-tra-i-santi/

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Francesco Curradi

Francesco Curradi, col Rosselli, il Passignano e Jacopo Empoli, è considerato uno dei protagonisti del rinnovamento della pittura fiorentina della prima metà del Seicento.La formazione del Curradi ha luogo presso la bottega fiorentina di Giovanni Battista Naldini, artista raffinato ed eclettico, superato dal discepolo, il quale aveva preso le mosse per un aggiornamento morfologico e concettuale dal Cigoli, dal Ciapelli e dal Passignano.Infatti, quando nel suo linguaggio il Curradi appare svincolato dai limiti sentimentali e religiosi della Riforma Cattolica, rivela (come nel caso in esame) sottigliezza psicologica ed estrema qualità pittorica.In tal senso va rilevato che il quadro in esame doveva rispondere a varie esigenze devozionali.Infatti San Sebastiano, santo militare, è oggetto di culto da parte dei soldati, ma soprattutto, delle compagini di arcieri e balestrieri.Per tanto, non a caso, ho richiamato la tipologia della piccola freccia, tinta di rosso, in uso presso i balestrieri, in quanto la “testa” del santo doveva far parte del corredo votivo di un alabardiere.Com’è noto il Curradi ebbe tra i suoi allievi Cesare Dandini (che assumerà un ruolo significativo all’interno della compagine matura dei pittori fiorentini del Seicento), il quale sarà sovente adibito a modello, per le sue raffinate fattezze, quali, a mio avviso, sono state conferite al santo in oggetto.Il “corpus” delle opere del Curradi è distribuito in molte chiese e raccolte del contado toscano e umbro.Le sue prerogative gli valgono, pertanto, un gran numero di commissioni, nonché, nel 1590, l’iscrizione all’Accademia di Disegno.Valdi confronti collegano la bella tela in esame con altre (o i relativi dettagli) già note, tra le quali menziono l’Annunciazione, Firenze, collezione privata; la Madonna con Bambino e Santi, Firenze, Chiesa di santa Trinità; l’Arcangelo Michele, già New York, collezione privata. Testo tratto dall’expertise del dipinto San Sebastiano, Francesco Curradi, olio su tela, 42x32 cm, del professor Maurizio Marini (Roma) https://oldpaintingsonline.com/prodotto/francesco-curradi/

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Bolle di Sapone

Bolle di SaponeLa mostra mercato nazionale Assisi Antiquariato, aperta dal 25 aprile all’1 maggio, offre lo spunto per poter visitare il magnifico territorio umbro ed anche una curiosa mostra a Perugia.La vanità, intesa come elemento di instabilità, è l’insolita chiave di lettura di questa mostra che riunisce grandi artisti dal XVI al XX secolo.Bolle di Sapone. Forma dell’utopia tra  vanitas, arte e scienza, a Perugia, fino al 9 giugno, raccoglie circa 60 opere legate al fil rouge di ciò che più di ogni altra cosa incanta, ma è effimero:le bolle di sapone, viste come realtà impalpabile e priva di sostanza.Sono spesso capolavori provenienti da prestigiose istituzioni, quali l’Hermitage, la National Gallery e gli Uffizi.Una carrellata di opere riassunte nell’Allegoria della vanità umana, di Karel Dujardin (1663) che presenta, con l’intento di condannarla, questa eccessiva presunzione di piacere come una fanciulla dai tratti vagamente allucinati, ispirata dalle bolle di sapone, metafora del nulla.Un atteggiamento altrettanto negativo è nei quadri di Jan Brueghel il Giovane, pittore fiammingo anche lui legato alla Controriforma fortemente critica verso gli eccessi, mentre per una valutazione più positiva della “vanitas” bisogna attendere gli inizi del Novecento, quando essa diventa impulso al commercio nella cartellonistica pubblicitaria (famoso il manifesto Achille Banfi di Gino Boccasile del 1937).La mostra è visitabile presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Corso Pietro Vannucci 19, Perugia fino al 9 giugno 2019 http://www.gallerianazionaledellumbria.it

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Visitare Salò

La città di Salò è meta turistica raffinata e viene frequentata da molti turisti sia italiani sia internazionali.Molte sono le attrazioni assolutamente da vedere.Il  Duomo di Salò è il monumento più importante della città, praticamente una cattedrale in riva al lago. Esso è dedicato a S. Maria Annunziata e rappresenta l'opera di maggior pregio architettonico di Salò. Al suo interno custodisce tele del Romanino, del Moretto, di Zenon Veronese e di Paolo Veneziano.Antonio Vassilacchi detto l'Aliense, vi eseguì diversi affreschi. Progettato da Filippo delle Vacche in tardo stile gotico, non fu mai concluso. La facciata rimane ancora incompleta, anche se abbellita nel 1509 dal portale marmoreo del Tamagnino.Mercato del sabato mattina, luogo di incontro sociale che copre un’estesa area;Il Palazzo Del Potestà, situato sul lungolago di Salò, è il palazzo della Magnifica Patria, oggi sede del Comune, rappresenta un significativo capitolo nella storia della cittadina lacustre. Modificato a più riprese nel corso del tempo, il complesso che vediamo adesso è frutto di un parziale rifacimento del modello cinquecentesco del Sansovino tutt`ora in parte presente, avvenuto all`inizio del Novecento, a seguito di un grave terremoto. Consistenti interventi di restauro e migliorie vennero poi eseguite dopo il terremoto 2004, che ferì significativamente Salò e quindi anche il palazzo. La Magnifica Patria inizialmente comprendeva una confederazione di trentasei comuni della riviera bresciana del lago di Garda e della Val Sabbia nata per scopi politici e amministrativi nel XIV secolo, e a questo periodo si deve far risalire una prima edificazione del palazzo. Nel 1426 Salò passò sotto il dominio veneziano, e a quel punto viene concesso alla Patria il titolo di Magnifica e di figlia primogenita della Serenissima, titolo che poi perderà nel 1797. Tracce di questo avvenimento, che comportò anche l`avvento di un provveditore, sono riscontrabili nelle numerose effigi rappresentanti il leone di San Marco sparse per il palazzo e sotto la loggia, che venne annessa al primigenio complesso e servì anche a collegare il palazzo con la dimora del podestà. All`interno l`edificio vanta una vasta sala del consiglio, dotata di soffitto a cassettoni che presenta le raffigurazioni di dame e personaggi illustri e al centro l`affresco di Andrea Bertanza raffigurante San Carlo Borromeo, patrono di Salò, inginocchiato ai piedi di Cristo mentre un Nettuno cavalca le onde del lago reggendo pesci e limoni, simboli della Magnifica Patria. Sempre nella stessa sala è presente il busto di Gasparo da Salò, inventore del violino, opera dello scultore Angelo Zanelli. L`atrio conserva invece gli affreschi del Landi mentre all`interno della loggia trovano posto gli stemmi dei paesi un tempo facenti parte della Magnifica Patria e quattro lapidi del Regno d`Italia. (credits Arianna Florioli)Palazzo Fantoni, affacciato sull’omonima via con l’elegante facciata del XV secolo, da antica e blasonata dimora nobiliare è divenuto la “Casa della cultura” di Salò. Qui ha la propria sede l'Ateneo di Salò, la più antica istituzione culturale cittadina, fondata nel 1564 con il nome di  Accademia degli Unanimi. A testimoniare l’antico e costante impegno dell’Ateneo sono il ricco archivio, custode di secoli di storia, e la biblioteca, dove si conservano incunaboli e cinquecentine. Anche il Museo Storico del Nastro Azzurro, dedicato ai riconoscimenti del valor militare, con cimeli dall'epoca napoleonica alla seconda guerra mondiale, ha trovato la propria sede presso Palazzo Fantoni, che ospita anche la Biblioteca Civica e l'Associazione Storico Archeologica della Riviera. Per finire, nel cortile si possono ammirare varie lapidi romane.Palazzo Martinengo ovvero Palazzo Pallavicino poi Martinengo, oggi Terzi, si trova sulla strada che, usciti da Salò, porta a Barbarano; simile ad una fortezza, la sua costruzione fu voluta dal Capitano della Repubblica di Venezia il marchese Sforza Pallavicino e risale al 1556. In questo edificio svolgeva i propri compiti la segreteria personale e politica di Benito Mussolini e risiedeva il quartier generale delle forze armate della RSI.Il nuovo museo MU.SA  nasce nel 2015 nel complesso di Santa Giustina, che originariamente ospitava un collegio dei padri Somaschi fondato nel 1597; dopo la soppressione dell’insediamento religioso e fino agli anni ’70 del ‘900 gli edifici sono stati destinati a uso scolastico.Il percorso di visita inizia da una grande aula soppalcata, che rappresenta il fulcro di tutte le attività (espositive, culturali, collaterali) e assolve alle funzioni di accoglienza, orientamento, bookshop e distribuzione dei diversi percorsi.Il percorso museale, finalizzato al racconto della storia della città di Salò, procede nelle successive sale dei cinque piani, articolandosi in diverse sezioni espositive: dalla storia del sito si passa all’ Osservatorio meteo sismico, fondato proprio nell’ex convento somasco nel 1877 e tuttora operativo e la collezione di preparati anatomici di Giovan Battista Rini (1795-1856), episodio di grande rilevanza oltre i confini nazionali.  L’età veneziana, quando la città ebbe il ruolo di capoluogo della Comunità di Riviera o Magnifica Patria è illustrata attraverso opere d’arte e documenti. Questa fu l’epoca anche di Gasparo da Salò, certamente la maggior gloria della città, cui è dedicato ampio spazio. Le raccolte illustrano attentamente le vicende salodiane seguite alla caduta di Venezia e al nuovo assetto napoleonico e quindi austriaco, il coinvolgimento nelle lotte risorgimentali, fino all’Unità e alle trasformazioni di inizio Novecento con la presenza di Gabriele d’Annunzio.Un’importante sezione del MuSa è dedicata ai 600 giorni della Repubblica Sociale Italiana, inscindibilmente legata a Salò nella memoria collettiva.Nel MuSa trova spazio anche l’esposizione di un’importante realtà salodiana, la Civica Raccolta del Disegno, nata nel 1983 per documentare la produzione grafica italiana del Secondo Dopoguerra, che nell’arco di tre decenni ha costituito un fondo di oltre 600 disegni, con fogli di grandissima qualità e rilevanza.Al piano terra dell’edificio (quota strada) è inoltre visitabile la collocazione del Museo del Nastro Azzurro, allora a Palazzo Coen, che viene accorpato al MuSa ma mantiene la propria identità ed un ingresso autonomo.Per questa stagione è allestita la mostra “Contemplazioni: i visionari”, curata dal professor Vittorio Sgarbi e  che resterà aperta dal 10 aprile all’8 dicembre. 

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